Stemma Episcopale

Stemma Episcopale
Questo e lo Stemma Episcopale del ArciVescovo Mons. Silvano Maria Tomasi, missionario Scalabriniano. Lo stemma ricorda il patrono della congeregazione Scalabriniana voluto dal Beato G.B. Scalabrini, San Carlo Borremeo nel suo stemma ce questa scritta Humilitas.

venerdì 20 marzo 2009

Migrazioni, ricchezza da valorizzare Intervista a mons. Tomasi sull'attualità del beato Scalabrini


Mons. Silvano Tomasi, 65 anni, originario di Casoni di Mussolente, ha una marcia in più nel suo impegno internazionale: è uno scalabriniano. “Una marcia in più non lo so - ammette -, però devo dire che avendo vissuto in varie parti del mondo, soprattutto negli Stati Uniti, nei paesi in via di sviluppo, da dove gli emigrati partono, in Africa come Nunzio apostolico, e conoscendo il fenomeno delle migrazioni molto da vicino con una presenza fisica in mezzo agli emigrati, penso che tutto questo mi sia di aiuto oggi a discutere questi problemi a livello più generale nel contesto degli organismi internazionali”. Abbiamo intervistato telefonicamente mons. Tomasi nel suo Ufficio delle Nazioni Unite ed Istituzioni specializzate a Ginevra, dove è osservatore permanente della Santa Sede. Un altro incarico lo vede anche osservatore permanente presso l’Organizzazione mondiale del commercio (Omc). Insomma, un osservatorio privilegiato e un campo d’azione straordinario nel quale esprimere il carisma scalabriniano. Lo abbiamo raggiunto telefonicamente nel suo ufficio di Ginevra.

Mons. Tomasi, chi era Scalabrini e qual è stato il suo impegno a favore dei migranti?

Giovanni Battista Scalabrini a cavallo tra i secoli XIX e XX ha intuito l’importanza delle migrazioni per il mondo moderno e per l’evoluzione dell’economia e della politica. Oggi abbiamo più di 200 milioni di persone che vivono e lavorano in paesi diversi da quelli in cui sono nate. Al tempo di Scalabrini (1839-1905) abbiamo avuto una grande emigrazione di massa dei nostri contadini dal Veneto, degli operai da altre regioni come la Campania, la Sicilia, il Lazio e davanti a questo enorme fenomeno questo Vescovo intrapendente si è posto la domanda “cosa facciamo? cosa fa l’Italia?”. Il Governo era preoccupato che gli italiani non fossero rappresentati all’estero con un’immagine troppo cattolica (c’era stata la rottura fra Stato e Chiesa per la presa di Roma), ma Scalabrini disse che si doveva lavorare insieme. E così ha cominciato a dialogare con lo Stato, ha fatto proposte di legge, anche se non ha avuto sempre successo. E’ stato molto più efficace dal punto di vista pastorale, perché attraverso le congregazioni religiose dei missionari di S. Carlo e delle suore Scalabriniane è riuscito ad avere una presenza reale in mezzo agli emigranti nei posti dove andavano a insediarsi ed inoltre ha dato l’idea a madre Francesca Cabrini di lavorare anche lei con le sue suore tra gli emigranti del Nord America. Scalabrini è stato in un certo modo il primo sociologo dell’emigrazione (non per niente era amico di Giuseppe Toniolo), ha analizzato il fenomeno migratorio come parte del processo di modernizzazione delle società europee.

Cosa c’è di attuale oggi nel suo pensiero?

Direi che la visione di Scalabrini rimane valida, la sua convinzione che la Provvidenza lavora attraverso queste masse di persone che si spostano da un paese all’altro per creare delle realtà nuove. Sono portatrici di doni come le culture, le intuizioni religiose, che contribuiscono a un’evoluzione costante del nostro modo di essere e di vivere insieme. Certo, come Scalabrini stesso aveva visto, la questione dell’integrazione rimane la chiave nell’incontro di popoli diversi. Allora dobbiamo sperimentare delle politiche aperte, creative, che mettano l’accento sull’integrazione. E’ importante, inoltre, avere canali legali per l’entrata di queste persone, che sono necessarie per l’economia dei paesi ospitanti, anche del nostro Veneto.

Il punto chiave, però, è l’integrazione...

Ci sono alcuni aspetti da sottolineare. Innanzitutto per integrare i nuovi arrivati bisogna partire non da una forzatura che li obblighi immediatamente ad adattarsi ma dal riconoscere quello che loro sono. Scalabrini usava un’immagine molto concreta: quando si trapianta un albero, si deve tenere attorno alle sue radici quel tanto di humus che gli serve per attecchire nel nuovo posto dove viene trapiantato. Questa gente che arriva dall’Est Europa, dal Nord Africa, dalle Filippine o alla Cina, dall’America Latina, deve avere la possibilità di una certa continuità culturale per gli inizi del loro cammino di integrazione. Da lì poi parte il dialogo per comprendere i valori della società in cui sono arrivati e in questa seconda fase dovranno capire che ci sono valori, regole nei paesi democratici che devono essere accettati per vivere insieme. Infine, per noi che siamo cristiani, direi che c’è un terzo aspetto molto significativo: rispettando la libertà di tutti, non esitiamo ad annunciare il Vangelo perché è un dono a cui queste persone hanno diritto, al quale devono poter dare una risposta libera. Una volta dai nostri paesi partivano tanti missionari, oggi le missioni sono venute a noi.

Nei nostri paesi la presenza di persone immigrate è sempre più consistente, con quale atteggiamento è giusto confrontarci?

Questa varietà di presenze ci obbliga a riflettere prima di tutto sulla nostra identità storica e sulla nostra identità di fede. Vorrei dire che anche questo è un servizio che ci fanno perché, distratti dal benessere e dalla corsa verso il guadagno, ci dimentichiamo della nostra esperienza storica. Dobbiamo chiederci chi siamo, perché agiamo in un certo modo, perché portiano avanti certi valori, la famiglia, il rispetto degli altri, la responsabilità nel lavoro. Ci confrontiamo, anche nel nostro Nordest, non solo con il dialogo interreligioso (ad esempio con i musulmani) ma anche con il dialogo ecumenico, ad esempio con i fratelli ortodossi. Sono molte le esperienze storiche di cristianesimo vissute in maniera diversa e con riti cultuali diversi che sono la ricchezza dell’universalità della Chiesa.

Secondo lei quanto possono fare le Istituzioni internazionali per favorire una “normalità” delle migrazioni?

Nel contesto internazionale ci troviamo in un momento interessante perché si sta prendendo coscienza che le emigrazioni attuali devono essere affrontate in maniera coerente e integrata, non soltanto da uno o dall’altro Stato o da una regione del mondo, ma a livello globale. Per questo l’anno prossimo l’Assemblea generale delle Nazioni Unite avrà un segmento ad alto livello sulle emigrazioni contemporanee. Da qualche settimana, inoltre, è uscito il rapporto finale della Commissione globale per le migrazioni internazionali che ha lavorato per 18 mesi per capire qual è il contributo che le migrazioni di oggi portano. Ed è stato presentato in questi giorni l’utimo rapporto della Banca mondiale che si concentrava sull’impatto delle rimesse degli immigrati per lo sviluppo dei paesi poveri da cui partono: mettendo assieme tutte queste analisi si vede che le migrazioni sono diventate una priorità politica ed economica nel mondo di oggi e che l’impatto globale è positivo. Scalabrini aveva intuito bene: anche gli economisti dicono che il contributo che viene dato dagli emigrati, sia ai paesi di origine attraverso le rimesse, sia ai paesi dove lavorano, è sostanzialmente positivo. Certo ci sono delle dimensioni sociali e politiche più complicate perché in certi paesi diventa difficile accettare culture o religioni molto diverse, ma l’integrazione è un fattore cruciale e se i governi e la comunità internazionale gestiranno intelligentemente il fenomeno avremo un risultato positivo, tanto più che oggi tutti i paesi sono di emigrazione e immigrazione o di transito.

Spesso non emerge il volto buono, ma quello drammatico dell’emigrazione: il traffico e lo sfruttamento di donne e bambini, o le condizioni in cui vivono le persone irregolari...

Sui diritti umani la presenza della Santa Sede nel contesto internazionale è molto importante. Si cerca di difendere le vittime dell’emigrazione, le persone più a rischio, più vulnerabili come le donne e i bambini trafficati, gli immigrati irregolari che cercano di chiedere asilo politico anche se non sono strettamente dei rifugiati e vengono messi in veri centri di detenzione. E poi vediamo tutti i giorni quanti morti ci sono nel tentativo di passare dal Nord Africa all’Italia o alla Spagna, o dal Messico agli Stati Uniti attraverso il deserto dell’Arizona: noi veniamo a sapere di chi annega, ma sapeste quanti muoiono nel deserto. E’ la realtà un po’ nascosta e drammatica delle grandi migrazioni contemporanee che ci fa vedere quante persone, quanti popoli sono vittime di uno squilibrio economico tra paesi che attraverso la buona volontà di tutti dovrà essere equilibrato.

Alessandra Cecchin

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