Andrea Menegotto (7 aprile 2004)
Nel corso della 60a Sessione della Commissione dei Diritti Umani delle Nazioni Unite, che si svolge a Ginevra dal 15 marzo al 23 aprile 2004, in occasione del dibattito sui diritti civili e politici, il 1° aprile 2004, l’arcivescovo monsignor Silvano Tomasi, Osservatore Permanente della Santa Sede presso l’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU), ha affermato nel corso del suo intervento (disponibile in versione ufficiale in lingua inglese): «Una forma emergente e sottile di intolleranza religiosa si sta opponendo al diritto della religione di affrontare pubblicamente i temi relativi ai tipi di condotta che vanno contro i principi di natura morale e religiosa».
L’arcivescovo ha poi proseguito: «Anche se bisogna rispettare una sana concezione della natura secolare dello Stato, si deve riconoscere il ruolo positivo dei credenti nella vita pubblica. [...] In questo modo si dà una risposta, tra le altre cose, alle esigenze di un pluralismo proficuo e alla costruzione dell’autentica democrazia», e ancora: «La religione non può relegarsi in un angolo della sfera privata della vita, perdendo così la sua dimensione sociale e la sua opera caritatevole a favore delle persone più vulnerabili, che serve senza nessuna distinzione».
Monsignor Tomasi ha inoltre richiamato in particolare l’articolo 18 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, che tutela la libertà religiosa, di pensiero e di coscienza, denunciando peraltro il fatto che in molti luoghi si continua a violare la libertà religiosa: «Molti gruppi, oggi, hanno iniziato a discriminare e ad esercitare la violenza contro le minoranze religiose, spesso rimanendo totalmente impuniti. Si arriva anche ad incendiare, distruggere o profanare luoghi di culto e cimiteri; i credenti sono minacciati, vengono attaccati o uccisi e i loro leader sono oggetto di una discriminazione particolare».
Infine, «La capacità di una persona di scegliere la propria religione - ha concluso l’arcivescovo -, incluso il diritto di convertirsi ad un’altra, trova grandi ostacoli in certi contesti sociali, in violazione diretta della pur garantita libertà di coscienza».
Le parole dell’Osservatore Permanente della Santa Sede presso l’ONU paiono tenere conto della pluralità di situazioni presenti a livello internazionale, in questo primissimo scorcio di terzo millennio, in cui la libertà religiosa è violata, certo con metodi, motivazioni e gradi differenti a seconda dei contesti culturali e geografici: per citare due casi clamorosi, dalla persecuzione amministrativa contro le minoranze religiose tipica del contesto francese ai tragici episodi che vedono la repressione cruenta di cristiani e animisti in Sudan. Un accurato ed ampio report circa lo stato della libertà religiosa nel mondo annualmente è fornito da un Rapporto di una benemerita realtà quale l’ACS (Aiuto alla Chiesa che Soffre).
Sulla scia dell’intervento di monsignor Tomasi, al fine di contribuire ad un’adeguata interpretazione dello scenario internazionale relativo alla libertà religiosa e alle sue raccapriccianti violazioni, vale la pena di soffermarsi con qualche indubbia utilità su un modello teorico di carattere idealtipico, ovvero - per utilizzare una categoria derivante da Max Weber (1864-1920) - basato su «tipi ideali» che l’interprete può ricostruire ma che raramente si incontrano allo stato puro, anziché inventari ricavati dalla molteplicità dei casi concreti. Tale modello di carattere classificatorio è stato recentemente formulato da Massimo Introvigne nel volume Fondamentalismi. I diversi volti dell’intransigenza religiosa (Piemme, Casale Monferrato [Alessandria] 2004, in particolare pp. 65-68).
Se consideriamo, in una sorta di volo panoramico sulle differenti civiltà - volutamente prescindendo dalla distinzione fra Occidente e Oriente - il rapporto fra religione e cultura, notiamo la presenza di tre possibili categorie:
1. il laicismo, per cui tra fede e cultura ci deve essere totale separazione ed è negativo ogni tentativo del credente di far diventare la sua fede cultura e di giudicare la cultura, quindi anche la politica, alla luce della fede;
2. il fondamentalismo, per cui fede e cultura e fede e politica coincidono e quindi ogni modo di produzione della cultura che non parta esplicitamente dalla fede, ogni politica che non sia direttamente e senza mediazioni religiosa, sarà considerata necessariamente sospetta. Nel caso dei gruppi che si muovono nella nicchia più radicale, la mancata coincidenza fra religione, cultura e politica è considerata direttamente intollerabile e demoniaca. Tali gruppi o si separano totalmente dalla società circostante vivendo in enclave o comunità che riducono al minimo il contatto con gli «altri», oppure decidono che è assolutamente necessario reagire al carattere intollerabile della società cambiandola e diventano movimenti religiosi di tipo «rivoluzionario» (cfr. Catherine Wessinger, How the Millennium Comes Violently. From Jonestown to Heaven’s Gate. Seven Bridges Press, New York - Londra 2000 e C. Wessinger [a cura di], Millennialism, Persecution, and Violence. Historical Cases. Syracuse University Press, Syracuse [New York] 2000), con possibili derive verso la violenza e l’intolleranza nei confronti dell’«altro» e quindi con probabili e gravi problemi per la salvaguardia della libertà religiosa laddove tali tendenze radicali - spesso di matrice islamica, ma studi quali il testo I fondamentalismi (Elledici, Leumann [Torino] 2001) dello storico svizzero delle religioni Jean-François Mayer e il già citato volume di Massimo Introvigne ci fanno notare che si può, pur con qualche problematicità, parlare di fondamentalismo anche in relazione ad altre esperienze religiose - hanno il sopravvento in un determinato contesto politico;
3. infine, la laicità, per cui tra fede e cultura non c’è separazione, ma distinzione e dunque la cultura, come la politica e tutte le realtà terrene e secolari, ha una sua sfera di autonomia che va riconosciuta e difesa, pur potendo e dovendo essere giudicata alla luce della fede e della morale.
Come non manca di notare lo stesso direttore del CESNUR: «Il confronto fra laicismo, fondamentalismo e laicità contribuisce [...] a rendere ragione di un gran numero di crisi locali ed è essenziale per impostare la questione del “fondamentalismo”» (op. cit., p. 66).
Risulta piuttosto evidente come, nonostante l’assonanza linguistica, la laicità non sia la laïcité à la française, che coincide piuttosto con il laicismo, termine quest’ultimo che si rivela più adatto a tradurre il vocabolo francese «laïcité» e a cui paiono particolarmente adattarsi le parole problematiche di monsignor Tomasi che - come abbiamo visto - in apertura del suo intervento ricorda l’esistenza di una forma «emergente e sottile di intolleranza religiosa [che] si sta opponendo al diritto della religione di affrontare pubblicamente i temi relativi ai tipi di condotta che vanno contro i principi di natura morale e religiosa».
Dal canto nostro, ci auguriamo che l’Italia, per anni riconosciuta sulla scena internazionale come uno dei paesi più favorevoli alla libertà religiosa, non intraprenda strade sbagliate, quali quella abbozzata nel disegno di legge sulla «manipolazione mentale», che con il pretesto di introdurre leggi speciali contro le «sette» nocive, finiscono per mettere in pericolo la libertà religiosa di tutti i cittadini e pure di associazioni e movimenti che operano all’interno delle Chiese maggioritarie.
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