Stemma Episcopale
venerdì 27 marzo 2009
Mons. Tomasi: la comunità cristiana è la più discriminata nel mondo
R. – Se si comincia ad aprire la porta ad un concetto di diffamazione che si applica alle idee, poi, in qualche modo, lo Stato entra a decidere quando si è diffamata una religione o no, e questo, alla fine, tocca la libertà religiosa. Per esempio, il riconoscimento giuridico del concetto astratto di diffamazione della religione può essere utilizzato per giustificare le leggi contro la blasfemia, che sappiamo bene come in alcuni Stati siano utilizzate per attaccare minoranze religiose, in maniera anche violenta. La sfida è quella di arrivare a trovare un equilibrio sano, che combini la propria libertà con il rispetto dei sentimenti degli altri, e la strada per arrivare a questo obiettivo è quella di accettare i principi fondamentali di libertà, che sono iscritti nei trattati internazionali.
D. – Lei, nel suo intervento in Commissione, ha denunciato l’aumento dell’intolleranza religiosa nel mondo, in particolare contro le minoranze cristiane…
R. – Se guardiamo la situazione mondiale, vediamo che, di fatto, i cristiani – come varie fonti stanno documentando – sono il gruppo religioso più discriminato; si parla addirittura di più di 200 milioni di cristiani, di una confessione o dell’altra, che si trovano in situazioni di difficoltà, perché ci sono delle strutture legali o delle culture pubbliche che portano, in qualche modo, ad una certa discriminazione nei loro riguardi. Questo è un dato di cui non si parla moltissimo, che però è reale soprattutto se pensiamo agli scoppi di violenza che sono capitati negli ultimi mesi in vari contesti politici e sociali.
D. – Lei ha sottolineato inoltre che i cristiani sono sottoposti a discriminazione anche in alcuni Paesi dove sono maggioritari, e dove si stanno perseguendo nuove politiche laiciste che mirano a ridurre il ruolo della religione nella vita pubblica…
R. – Ci sono delle situazioni particolari, che portano ad una certa emarginazione di coloro che veramente credono e vivono la loro fede cristiana. Ci sono delle situazioni – anche dichiarazioni pubbliche parlamentari – che attaccano questo o quell’aspetto della credenza cristiana, e questo tende a relegare i cristiani ai margini della società e a togliere il contributo dei loro valori alla società.
lunedì 23 marzo 2009
VATICANO: VIGNETTE ANTI-PAPA, NO A LIMITAZIONI DI LIBERTA' ESPRESSIONE
(ASCA) - Citta' del Vaticano, 21 mar - ''Anche se la richiesta di limitare il diritto alla liberta' di espressione per rispettare i sentimenti religiosi delle persone e' legittima - molti Stati includono queste limitazioni nelle loro legislazioni, compresi i Paesi occidentali - la Santa Sede non pensa che un altro strumento internazionale sia la giusta risposta'': la posizione ufficiale della Santa Sede sulle limitazioni alle liberta' di stampa e di espressione per non urtare i sentimenti religiosi delle persone, espressa il 16 marzo scorso al Consiglio dei Diritti dell'Uomo Onu, dall'Osservatore Permanente della Santa Sede presso l'Ufficio delle Nazioni Unite a Ginebra, mons. Silvano M. Tomasi, arriva pochi giorni dopo le critiche alla vignetta di Le Monde che mostrava Gesu' che distribuiva preservativi.
Un'immagine che, secondo molti cattolici, offendeva i sentimenti religiosi di un intero Continente e andava ritirata.
''La mia delegazione - ha detto invece oggi mons. Tomasi - e' dell'opinione che l'applicazione del principio universale di liberta' religiosa sia la migliore protezione, e che ogni Stato dovrebbe esaminare le proprie leggi nazionali e riflettere a come incoraggiare un dibattito franco ma rispettoso tra i membri di una stessa religiosa e tra i rappresentanti di religioni diverse e chi non ha credenze religiose''. Ad ogni modo, il diplomatico vaticano ha ricordato che ''la liberta' religiosa e' intrinsecamente legata alla liberta' di espressione. Quando i seguaci delle religioni non hanno il diritto di esprimere liberamente le loro opinioni, la liberta' di religione non e' garantita''.
venerdì 20 marzo 2009
Vaticano: "In Europa disattesi diritti umani dei rifugiati"
Ne ha parlato mons. Silvano Tomasi, osservatore permanente della Santa Sede presso l'Onu a Ginevra, nel suo intervento alla 44esima riunione, nella città elvetica, del Comitato permanente dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite.
Nell'intervento, diffuso dalla Radio Vaticana, mons. Tomasi ha nesso in luce le difficoltà incontrate dai rifugiati per ottenere protezione e presentare domanda di asilo ed ottenere considerazione equa delle richieste inoltrate secondo standard e procedure internazionali. Quindi l'Osservatore permanente presso la santa Sede ha puntato i riflettori sulle differenze nei vari Paesi europei nei procedimenti di asilo, differenze che preoccupano la Santa Sede, che fa sue le stesse preoccupazioni dell'Alto Commissario dell'Onu, Antonio Guterres, nel sottolineare che ''ogni Paese, naturalmente, ha diritto di definire la sua politica migratoria, ma le norme internazionali di protezione dei rifugiati devono essere rispettate''.
Un appello, ha detto mons. Tomasi, che merita particolare attenzione data la tragica situazione che ha visto, durante il 2008, 1502 persone, tra le quali presumibilmente un numero significativo in fuga da persecuzione, che hanno incontrato la morte mentre tentavano di entrare in Europa. Da qui la richiesta del rappresentante della Santa Sede che le politiche nazionali e internazionali e i provvedimenti legali abbiano anzitutto ''un solido fondamento nei diritti umani, il diritto alla vita in primo luogo''.
Questo grave problema non interessa solo l'Europa, ha aggiunto il rappresentante vaticano, notando che simili tendenze ad opporre ''barriere fisiche cosi' come burocratiche, legislative e politiche ai richiedenti asilo'' si registrano in diversi regioni del mondo, sviluppate e in via di sviluppo. Attenzione particolare merita inoltre il fenomeno crescente di minori soli che richiedono asilo, ''perche' rivela la disperata situazione in cui versano alcune famiglie e perchè troppo spesso è risolto con un ambiguo sistema di detenzione''.
Santa Sede: per una scuola sussidiaria ai genitori
di Inma Álvarez
GINEVRA, mercoledì, 3 dicembre 2008 (ZENIT.org).- La vera istruzione, che non si limita alla trasmissione di conoscenze ma tiene conto dell'affettività e della spiritualità del bambino, richiede che la scuola sia consapevole del suo ruolo sussidiario rispetto a quello dei genitori.
Lo ha osservato l'Arcivescovo Silvano M. Tomasi, Osservatore Permanente della Santa Sede presso l'ufficio delle Nazioni Unite a Ginevra, durante la 48ª riunione della Conferenza Internazionale sull'Istruzione, svoltasi nella città svizzera dal 25 al 28 novembre.
Nel suo intervento, il presule ha sottolineato la necessità di un'istruzione “inclusiva” che guardi non solo a “criteri di efficacia”, ma “promuova il rispetto per la dignità di ogni persona umana”.
Per questo, “gli educatori devono essere consapevoli del fatto che svolgono il loro servizio in cooperazione con i genitori, che sono la prima 'agenzia educativa' e hanno il diritto prioritario e il dovere di educare i propri figli”, in base al principio della sussidiarietà.
Dall'altro lato, ha sottolineato, l'istruzione “deve tener conto delle necessità di ogni persona e in particolare di quelle dei poveri e dei più vulnerabili, degli handicappati, dei giovani delle zone rurali e dei quartieri emarginati delle città, senza alcuna discriminazione”.
L'istruzione deve “promuovere lo sviluppo integrale della persona”, e non avere “un ruolo secondario rispetto all'economia”, ma “aprire le persone a tutte le aspirazioni del cuore umano”, ha aggiunto monsignor Tomasi.
Un'istruzione globale, ha constatato, “deve abbracciare tutti i bambini e i giovani nel loro contesto esistenziale, e tutte le persone coinvolte nella loro formazione, in un processo comprensivo che combini trasmissione della conoscenza e sviluppo della personalità”.
“Le domande fondamentali che ogni persona si pone”, del resto, “hanno a che vedere con la ricerca del senso della vita e della storia, del cambiamento e della dissoluzione, dell'amore e della trascendenza”.
Per questo, l'istruzione deve “fornire a ogni persona gli strumenti necessari per contribuire a una partecipazione creativa nella comunità, riflettendo e dando risposte appropriate alle domande profonde sul senso, per vivere con gli altri e scoprire la propria natura e l'inerente dignità di 'creature spirituali'”.
Citando il Papa, monsignor Tomasi ha infine ricordato che “un bambino ha un forte desiderio di sapere e capire, che si esprime nel suo fiume di domande e nelle costanti richieste di spiegazioni. L'istruzione, quindi, si impoverirebbe se si limitasse a fornire informazioni e trascurasse l'importante domanda sulla verità, soprattutto quella verità che può essere una guida nella vita”.
La Santa Sede chiede politiche di asilo più solidali
CITTA DEL VATICANO - La Santa Sede, preoccupata per la drammatica situazione di molti rifugiati, ha chiesto che la comunità internazionale adotti politiche di asilo solidali.
La richiesta è stata presentata dall'osservatore permanente della Santa Sede presso gli uffici ONU a Ginevra, l'Arcivescovo Silvano M. Tomasi, intervenendo alla riunione convocata dall'Alto Commissariato ONU per i Rifugiati (ACNUR), come rende noto la “Radio Vaticana”.
Monsignor Tomasi ha denunciato la morte, l'anno scorso, di più di 1.500 persone mentre cercavano di entrare in territorio europeo.
In questo contesto, spiega l'emittente pontificia, il presule ha insistito sulla necessità che le politiche nazionali e internazionali e i provvedimenti legali abbiano anzitutto “un solido fondamento nei diritti umani, il diritto alla vita in primo luogo”.
Dopo aver riconosciuto che ogni Paese ha il diritto di definire la propria politica di immigrazione, l'osservatore permanente della Santa Sede presso l'ONU ha ricordato che “le norme internazionali di protezione dei rifugiati devono essere rispettate”.
L'Arcivescovo ha aggiunto che questa situazione preoccupante non è esclusiva né si circoscrive all'Europa, perché si osservano tendenze simili in varie regioni del mondo, sviluppate e in via di sviluppo.
La comunità internazionale, ha ribadito monsignor Tomasi, non deve abbandonare l'impegno a ricevere e difendere le persone perseguitate che fuggono perché hanno timori fondati e la loro vita è minacciata.
Il presule ha anche ricordato che il crescente fenomeno dei minori non accompagnati che richiedono asilo è un appello all'attenzione “perché rivela la disperata situazione in cui versano alcune famiglie e perché troppo spesso è risolto con un ambiguo sistema di detenzione”.
Per questo motivo, ha osservato che spetta a tutti affrontare le cause profonde degli spostamenti forzati, perché una generosa risposta umanitaria deve essere accompagnata da una politica ugualmente impegnata.
SANTA SEDE: continuano abusi e violenze contro la libertà di religione, fondamentale diritto umano
Città del Vaticano (AsiaNews 30-03-2007) – La religione non può essere “tollerata sulla base di circostanze culturali, etniche o politiche, che possono cambiare ed anche divenire una forma di coercizione”: la libertà di religione “va riconosciuta come un fondamentale diritto umano, proprio di ogni persona”. E’ il concetto fondamentale affermato da mons. Silvano M. Tomasi, osservatore permanente della Santa Sede presso l’Ufficio delle Nazioni Unite a Ginevra, nell’intervento compiuto il 22 marzo scorso sul rispetto delle religioni e della libertà religiosa, in occasione della quarta sessione ordinaria del Consiglio dei diritti dell’uomo.
Il rappresentante vaticano ha evidenziato che la discussione non può essere centrata solamente sulla tolleranza religiosa e la diffamazione delle religioni, come appariva da alcuni interventi, ma deve puntare all’affermazione del diritto alla libertà religiosa. “Uno Stato veramente democratico valuta la libertà religiosa come un elemento fondamentale del bene comune, meritevole di rispetto e protezione, e crea le condizioni che consentono ai suoi cittadini di vivere ed agire liberamente”.
Purtroppo, ha rilevato mons. Tomasi, “continuano ad esserci abusi dei diritti dei credenti, a volte fino alla violenza contro di loro, restrizioni imposte dagli Stati, indebite imposizioni e persecuzioni, pubbliche offese ai seguaci di religioni”. E va vista “con preoccupazione” l’emergere di “un apparente dilemma tra il rispetto dovuto alle religioni ed il diritto alla libertà religiosa come se fossero tra loro incompatibili”, mentre, “al contrario, sono valori complementari che non possono sussistere l’uno senza l’altro”.
Ricordato che “le religioni possono offrire, e di fatto offrono, solide fondamenta per la difesa dei valori della giustizia personale e sociale, per il rispetto degli altri e della natura”, il rappresentante della Santa Sede ha affermato che “qualsiasi religione che predica o perdona la violenza, l’intolleranza l’odio rende se stessa indegna del suo nome”. D’altro canto non si può neppure accettare che la critica a persone che si sono macchiate di violenze in nome di una religione sia estesa alla loro fede.
“Il rispetto per la persona umana e la sua dignità – ha ribadito mons. Tomasi – implica il rispetto della sua libertà in materia religiosa, di professare, praticare e manifestare pubblicamente la propria fede, senza essere sbeffeggiato, insultato e discriminato. Rispetto della religioni significa rispetto di coloro che hanno scelto di seguirla e praticarla in modo libero e pacifico, in privato o in pubblico, da soli o in gruppo. L’offesa ad una religione, specialmente quando è quella di una minoranza – ha concluso - causa coercizioni contro i suoi seguaci che hanno maggiori difficoltà a professarla, praticarla e manifestarla in pubblico”.
Migrazioni, ricchezza da valorizzare Intervista a mons. Tomasi sull'attualità del beato Scalabrini
Mons. Silvano Tomasi, 65 anni, originario di Casoni di Mussolente, ha una marcia in più nel suo impegno internazionale: è uno scalabriniano. “Una marcia in più non lo so - ammette -, però devo dire che avendo vissuto in varie parti del mondo, soprattutto negli Stati Uniti, nei paesi in via di sviluppo, da dove gli emigrati partono, in Africa come Nunzio apostolico, e conoscendo il fenomeno delle migrazioni molto da vicino con una presenza fisica in mezzo agli emigrati, penso che tutto questo mi sia di aiuto oggi a discutere questi problemi a livello più generale nel contesto degli organismi internazionali”. Abbiamo intervistato telefonicamente mons. Tomasi nel suo Ufficio delle Nazioni Unite ed Istituzioni specializzate a Ginevra, dove è osservatore permanente della Santa Sede. Un altro incarico lo vede anche osservatore permanente presso l’Organizzazione mondiale del commercio (Omc). Insomma, un osservatorio privilegiato e un campo d’azione straordinario nel quale esprimere il carisma scalabriniano. Lo abbiamo raggiunto telefonicamente nel suo ufficio di Ginevra.
Mons. Tomasi, chi era Scalabrini e qual è stato il suo impegno a favore dei migranti?
Giovanni Battista Scalabrini a cavallo tra i secoli XIX e XX ha intuito l’importanza delle migrazioni per il mondo moderno e per l’evoluzione dell’economia e della politica. Oggi abbiamo più di 200 milioni di persone che vivono e lavorano in paesi diversi da quelli in cui sono nate. Al tempo di Scalabrini (1839-1905) abbiamo avuto una grande emigrazione di massa dei nostri contadini dal Veneto, degli operai da altre regioni come la Campania, la Sicilia, il Lazio e davanti a questo enorme fenomeno questo Vescovo intrapendente si è posto la domanda “cosa facciamo? cosa fa l’Italia?”. Il Governo era preoccupato che gli italiani non fossero rappresentati all’estero con un’immagine troppo cattolica (c’era stata la rottura fra Stato e Chiesa per la presa di Roma), ma Scalabrini disse che si doveva lavorare insieme. E così ha cominciato a dialogare con lo Stato, ha fatto proposte di legge, anche se non ha avuto sempre successo. E’ stato molto più efficace dal punto di vista pastorale, perché attraverso le congregazioni religiose dei missionari di S. Carlo e delle suore Scalabriniane è riuscito ad avere una presenza reale in mezzo agli emigranti nei posti dove andavano a insediarsi ed inoltre ha dato l’idea a madre Francesca Cabrini di lavorare anche lei con le sue suore tra gli emigranti del Nord America. Scalabrini è stato in un certo modo il primo sociologo dell’emigrazione (non per niente era amico di Giuseppe Toniolo), ha analizzato il fenomeno migratorio come parte del processo di modernizzazione delle società europee.
Cosa c’è di attuale oggi nel suo pensiero?
Direi che la visione di Scalabrini rimane valida, la sua convinzione che la Provvidenza lavora attraverso queste masse di persone che si spostano da un paese all’altro per creare delle realtà nuove. Sono portatrici di doni come le culture, le intuizioni religiose, che contribuiscono a un’evoluzione costante del nostro modo di essere e di vivere insieme. Certo, come Scalabrini stesso aveva visto, la questione dell’integrazione rimane la chiave nell’incontro di popoli diversi. Allora dobbiamo sperimentare delle politiche aperte, creative, che mettano l’accento sull’integrazione. E’ importante, inoltre, avere canali legali per l’entrata di queste persone, che sono necessarie per l’economia dei paesi ospitanti, anche del nostro Veneto.
Il punto chiave, però, è l’integrazione...
Ci sono alcuni aspetti da sottolineare. Innanzitutto per integrare i nuovi arrivati bisogna partire non da una forzatura che li obblighi immediatamente ad adattarsi ma dal riconoscere quello che loro sono. Scalabrini usava un’immagine molto concreta: quando si trapianta un albero, si deve tenere attorno alle sue radici quel tanto di humus che gli serve per attecchire nel nuovo posto dove viene trapiantato. Questa gente che arriva dall’Est Europa, dal Nord Africa, dalle Filippine o alla Cina, dall’America Latina, deve avere la possibilità di una certa continuità culturale per gli inizi del loro cammino di integrazione. Da lì poi parte il dialogo per comprendere i valori della società in cui sono arrivati e in questa seconda fase dovranno capire che ci sono valori, regole nei paesi democratici che devono essere accettati per vivere insieme. Infine, per noi che siamo cristiani, direi che c’è un terzo aspetto molto significativo: rispettando la libertà di tutti, non esitiamo ad annunciare il Vangelo perché è un dono a cui queste persone hanno diritto, al quale devono poter dare una risposta libera. Una volta dai nostri paesi partivano tanti missionari, oggi le missioni sono venute a noi.
Nei nostri paesi la presenza di persone immigrate è sempre più consistente, con quale atteggiamento è giusto confrontarci?
Questa varietà di presenze ci obbliga a riflettere prima di tutto sulla nostra identità storica e sulla nostra identità di fede. Vorrei dire che anche questo è un servizio che ci fanno perché, distratti dal benessere e dalla corsa verso il guadagno, ci dimentichiamo della nostra esperienza storica. Dobbiamo chiederci chi siamo, perché agiamo in un certo modo, perché portiano avanti certi valori, la famiglia, il rispetto degli altri, la responsabilità nel lavoro. Ci confrontiamo, anche nel nostro Nordest, non solo con il dialogo interreligioso (ad esempio con i musulmani) ma anche con il dialogo ecumenico, ad esempio con i fratelli ortodossi. Sono molte le esperienze storiche di cristianesimo vissute in maniera diversa e con riti cultuali diversi che sono la ricchezza dell’universalità della Chiesa.
Secondo lei quanto possono fare le Istituzioni internazionali per favorire una “normalità” delle migrazioni?
Nel contesto internazionale ci troviamo in un momento interessante perché si sta prendendo coscienza che le emigrazioni attuali devono essere affrontate in maniera coerente e integrata, non soltanto da uno o dall’altro Stato o da una regione del mondo, ma a livello globale. Per questo l’anno prossimo l’Assemblea generale delle Nazioni Unite avrà un segmento ad alto livello sulle emigrazioni contemporanee. Da qualche settimana, inoltre, è uscito il rapporto finale della Commissione globale per le migrazioni internazionali che ha lavorato per 18 mesi per capire qual è il contributo che le migrazioni di oggi portano. Ed è stato presentato in questi giorni l’utimo rapporto della Banca mondiale che si concentrava sull’impatto delle rimesse degli immigrati per lo sviluppo dei paesi poveri da cui partono: mettendo assieme tutte queste analisi si vede che le migrazioni sono diventate una priorità politica ed economica nel mondo di oggi e che l’impatto globale è positivo. Scalabrini aveva intuito bene: anche gli economisti dicono che il contributo che viene dato dagli emigrati, sia ai paesi di origine attraverso le rimesse, sia ai paesi dove lavorano, è sostanzialmente positivo. Certo ci sono delle dimensioni sociali e politiche più complicate perché in certi paesi diventa difficile accettare culture o religioni molto diverse, ma l’integrazione è un fattore cruciale e se i governi e la comunità internazionale gestiranno intelligentemente il fenomeno avremo un risultato positivo, tanto più che oggi tutti i paesi sono di emigrazione e immigrazione o di transito.
Spesso non emerge il volto buono, ma quello drammatico dell’emigrazione: il traffico e lo sfruttamento di donne e bambini, o le condizioni in cui vivono le persone irregolari...
Sui diritti umani la presenza della Santa Sede nel contesto internazionale è molto importante. Si cerca di difendere le vittime dell’emigrazione, le persone più a rischio, più vulnerabili come le donne e i bambini trafficati, gli immigrati irregolari che cercano di chiedere asilo politico anche se non sono strettamente dei rifugiati e vengono messi in veri centri di detenzione. E poi vediamo tutti i giorni quanti morti ci sono nel tentativo di passare dal Nord Africa all’Italia o alla Spagna, o dal Messico agli Stati Uniti attraverso il deserto dell’Arizona: noi veniamo a sapere di chi annega, ma sapeste quanti muoiono nel deserto. E’ la realtà un po’ nascosta e drammatica delle grandi migrazioni contemporanee che ci fa vedere quante persone, quanti popoli sono vittime di uno squilibrio economico tra paesi che attraverso la buona volontà di tutti dovrà essere equilibrato.
Alessandra Cecchin
BIOETICA: S.SEDE, DIRITTO A SALUTE RIGUARDA ANCHE EMBRIONE
Usa, fiducia dei consumatori ai minimi Bernanke: "Fuori dalla crisi fra 3 anni"
Il Vaticano: "Diritti umani a rischio" "Troppo spesso, periodi di gravi difficoltà economiche sono stati contraddistinti dall’aumento di potere di Governi caratterizzati da una dubbia propensione alla democrazia". È questo l’allarme lanciato dalla Santa Sede alle Nazioni Unite attraverso il suo Osservatore permanente alla sede d Ginevra dell’Onu. "La Santa Sede - ha spiegato monsignor Silvano Tomasi - prega affinché questo tipo di conseguenze possa essere evitato nella crisi attuale, perchè sfocerebbe in una grave minaccia per la diffusione dei diritti umani fondamentali per i quali quest’istituzione ha lottato con tanta tenacia". I rischi per la democrazia e i diritti umani sono, secondo l’arcivescovo, "un’altra conseguenza della crisi economica globale che potrebbe essere particolarmente importante per il mandato delle Nazioni Unite". "Negli ultimi cinquant’anni -ha detto ancora il rappresentante della Santa Sede nel suo intervento- si sono raggiunti alcuni importanti risultati nella riduzione della povertà".
La 10a Sessione del Consiglio dei Diritti Umani
18/03/09 La 10a Sessione del Consiglio dei Diritti Umani
Le organizzazioni non governative IIMA, BICE e VIDES Internazionale, con statuto consultivo presso le Nazioni Unite, hanno organizzato due SIDE EVENT per i giorni 9 e 10 marzo e un corso di formazione nei giorni 5-7 marzo in occasione della X Sessione del Consiglio dei Diritti Umani a Ginevra e per celebrare la ricorrenza del XX anniversario della Convenzione Internazionale dei Diritti del Fanciullo.
SIDE EVENT nella sala delle Nazioni Unite
La tematica principale del primo SIDE EVENT ha riguardato il diritto all’educazione per i bambini e adolescenti in situazione di strada con riferimento all’area dell’America Latina. Il secondo SIDE EVENT si è svolto sul diritto all’educazione dei bambini e adolescenti in situazione di strada con riferimento all’area dell’Asia. L’obiettivo di entrambi gli eventi riguarda l’identificazione delle strategie educative di accoglienza, accompagnamento, riabilitazione e reintegrazione dei bambini e adolescenti in situazioni di strada in accordo con la Convenzione dei Diritti del Fanciullo.
Durante il panel di discussione del primo SIDE EVENT sono intervenuti l’Ambasciatore del Messico Luis Alfonso De Alba, l’Ambasciatore dell’Uruguay Alejandro Artucio, il Consigliere Generale SDB per la pastorale giovanile, Don Fabio Attard, il Nunzio Apostolico e rappresentante della Santa Sede, Monsignor Silvano Tomasi, e gli esperti attualmente impegnati nel recupero dei bambini e adolescenti in situazioni di strada provenienti da alcune aree dell’America Latina, Adriana Bordarampe, in rappresentanza dell’Argentina e Sr. Celmira Serna, in rappresentanza della Colombia. Hanno partecipato tra gli altri l’ambasciatore della Colombia, Angelino Garzòn, l’ambasciatrice di Spagna, Silvia Escobar, una professoressa di materie giuridiche della facoltà pontificia “Auxilium”, Sr. Michaela Pitterova, Sr. Runita Borja, filippina attualmente a Roma impegnata nell’ambito della pastorale giovanile. Ha moderato il panel di discussione e il dialogo interattivo M. Francisca Ize Charrin, precedente direttore dell’Alto Commissariato dei Diritti Umani.
Relatori al parallel event su America Latina
Durante questo primo momento gli esperti hanno avuto la possibilità di analizzare le problematiche del diritto all’educazione connesse all’attuale crisi finanziaria con riferimento ai programmi sviluppati nell’area. Si è sottolineato che il diritto all’educazione deve essere garantito a tutti i bambini indiscriminatamente ed è parte della crescita e dello sviluppo del bambino che deve essere partecipante attivo del processo. Ci si è soffermati sulle cause degli atteggiamenti violenti e aggressivi dei bambini. Tutti i presenti hanno concluso l’evento acquistando consapevolezza della necessità di rafforzare gli sforzi dei governi locali, regionali e nazionali che spesso non hanno continuità.
Durante il panel di discussione del secondo SIDE EVENT sono intervenuti il segretario della delegazione italiana, in rappresentanza del console Roberto Vellano, il direttore esecutivo del centro per la protezione dei diritti dei bambini in Tailandia, Sanphasit Koompraphant, il Nunzio Apostolico e rappresentante della Santa Sede, Monsignor Silvano Tomasi, il direttore del BICE, Mr. Yves Marie-Lanoë e gli esperti attualmente impegnati nel recupero dei bambini e adolescenti in situazioni di strada provenienti da alcune aree dell’Asia, Sr. Josephina carrasco e Roberta Cimino in rappresentanza delle filippine e Sr. Anthony Mary Isabelle in rappresentanza dell’India. Ha moderato il panel di discussione e il dialogo interattivo M. Francisca Ize Charrin, precedente direttore dell’Alto Commissariato dei Diritti Umani. Ha partecipato tra gli altri il secondo segretario e console alla rappresentanza permanente alle Nazioni Unite per le Filippine, Hendrik Garcia.
Parallel event su Asia
Durante la seconda giornata sono state evidenziate alcune realtà difficili per i bambini in situazione di strada, nel dettaglio: l’abuso, la tratta, lo sfruttamento, il traffico e la pornografia. Sono state identificate come cause scatenanti la povertà estrema e la fragilità crescente della famiglia. I partecipanti hanno avuto la possibilità di approfondire le conseguenze derivanti da queste esperienze: difficoltà di apprendimento e di espressione, mancanza di un modello ufficiale. I partecipanti hanno acquisito la consapevolezza della necessità di formare anche gli insegnanti e le famiglie di provenienza, quando è possibile, e laddove non lo sia, di garantire un modello familiare alternativo anche con la propria attività; anche lo Stato, le organizzazioni non governative, la società civile e la Chiesa devono garantire che l’educazione sia di una qualità sufficiente in modo da prevenire queste difficoltà.
I due SIDE EVENT sono la prima parte di un progetto che si concluderà il prossimo anno con altri due SIDE EVENT sulla stessa tematica relativa ad alcune aree dell’Europa e dell’Africa.
Corso formativo per i promotori dei diritti dei bambini dall’America Latina e dall’Asia
Il primo giorno, 5 marzo, è stato dedicato alla focalizzazione delle buone pratiche e delle difficoltà incontrate nel lavoro di recupero dei bambini e adolescenti in situazione di strada. Tutti i partecipanti, esperti nel proprio campo, hanno condiviso le proprie esperienze, accorgendosi non solo che molte realtà sono comuni e presentano gli stessi ostacoli, ma anche comunicando le proprie tecniche di recupero a raggiungendo la consapevolezza di non essere soli a lavorare in questo settore. Gli esperti hanno vissuto questo giorno nella coscienza che si sta lavorando su una comunità di bambini che copre tutto il mondo e che la costruzione di un mondo diverso è possibile.
L'incontro con Afred Fernandez (OIDEL) e Jorge Ferreira (UN Representative, New Humanity) sull'educazione dei bambini di strada
Durante il secondo giorno, 6 marzo, gli esperti hanno approfondito le proprie conoscenze sulla Convenzione dei Diritti del Fanciullo e i Protocolli Facoltativi, sul sistema di procedure speciali e sull’Universal Periodic Review. In questo secondo giorno i partecipanti hanno avuto la possibilità di conoscere i meccanismi di tutela e promozione dei diritti del bambino, creando una rete tra la propria realtà lavorativa e l’Ufficio dei Diritti Umani a Ginevra. Questo ha fornito la possibilità di costruire non solo un meccanismo di fiducia tra le loro comunità e le Nazioni Unite, ma anche la maturazione di essere presenza attiva all’interno della comunità.
Ugo Cedrangolo, OHCHR, presenta il funzionamento del Comitato sui Diritti dei bambini
Il terzo e ultimo giorno di formazione, 7 marzo, gli esperti si sono divisi in gruppi per redigere una relazione sui risultati ottenuti, confrontandosi poi plenariamente. Durante questa giornata si è raggiunta la consapevolezza di essere strumenti di diffusione delle informazioni raccolte, moltiplicatori dei principi di formazione acquisiti e si è discusso su come interagire con le realtà sociali presenti sul proprio territorio in modo da essere strumenti di coinvolgimento della propria comunità.
I SIDE EVENT e il corso di formazione sono stati così un’occasione di incontro di diverse realtà accomunate da uno stesso obiettivo: essere creatori di una realtà a misura di bambino, nell’accettazione e nel rispetto della sua crescita e delle sue aspettative. Gli educatori hanno fornito informazioni molto importanti sui propri progetti, coinvolgendo e invitando i propri rappresentanti statali a visitare le singole realtà. Allo stesso tempo si è rafforzata negli esperti l’intenzione di veder realizzati i propri sforzi nella costruzione di un mondo senza bambini di strada.
INTERVENTION BY THE HOLY SEE AT THE SIXTH ORDINARY SESSION OF THE HUMAN RIGHTS COUNCIL
Geneva
Monday, 10 December 2007
Mr. President,
First of all, the Delegation of the Holy See congratulates you and the High Commissioner of Human Rights and her Office on the important initiative to organize appropriate celebrations to mark the 60th anniversary of the Universal Declaration of Human Rights (UDHR).
On December 10th 1948, at the Palais de Chaillot in Paris, the United Nations General Assembly took an historical decision and adopted the UDHR.
The Universal Declaration remains the single most important reference point for cross-cultural discussion of human freedom and dignity in the world and represents the customary-law base for any discussion about Human Rights.
The rights presented in the UDHR are not conferred by States or other institutions but they are acknowledged as inherent to every person, independent of, and in many ways the result of all ethical, social, cultural and religious traditions. Human dignity goes beyond any difference and it unites all humans in one family; as such, it requires all political and social institutions to promote the integral development of any person, as an individual and in his or her relation with the community.
Human dignity concerns democracy and sovereignty, but goes at the same time beyond them. It calls upon all actors, both governmental and non-governmental, both faith and other communities, state and non-state actors to work for freedom, equality, social justice for all human beings, while respecting the world’s cultural and religious mosaic. The very fact that we share a common human dignity provides the indispensable base that sustains the inter-relatedness and indivisibility of human rights, social, civil and political, cultural and economic.
The integral development of the person finds its full and complete realisation in community life which, in turn, finds the root of its existence in the fundamental rights and the dignity with which each person is endowed.
The rights, recognized in the UDHR, are not subject to historical ups and downs or convenient interpretations, but find their balance and reference in the centrality of human dignity.
In this context, the important debate on the relation between freedom of speech and expression, on the one hand, and respect for religion and religious symbols on the other, finds a solution in human dignity. I can only increase my own dignity, that is to enjoy human rights to the full, when I respect the dignity of others. Freedom of religion for all, and education to implement such freedom, become the main road for respect of all beliefs and convictions.
In fact, human dignity is the basis for the implementation of all human rights and, at the same time, the point of reference to identify national interests, thus avoiding the "double danger" of extreme individualism and of collectivism. It is also normative in the adoption of measures in any field where the human person expresses himself, in work and economy, science and security, health and similar areas.
The Universal Declaration recognizes that the respect of all human rights is the source of peace. The concept of peace, as expressed in article 28, affirms that "Everyone is entitled to a social and international order in which the rights and freedoms set forth in this Declaration can be fully realized". Peace is not only conceived as an absence of violence but includes also cooperation and solidarity, at the local and international levels, as a necessary way in order to promote and to defend the common good of all people.
Sixty years after the Declaration many members of the human family are still far from the enjoyment of their rights and basic needs. Human security is still not ensured.
The occasion of the 60th Anniversary of the Declaration, launched today, can show that every person, as an individual or as a member of a community, has the right and the responsibility to defend and implement all human rights. An African aphorism puts it like this: "To be human is to affirm one’s humanity by recognizing the humanity of others, and on that basis, to establish humane relations with any person".
Thank you, Mr. President.
A Venezia icone, stampe e disegni dell'arte religiosa etiopia
Pubblicato il 04/03/2009 19.00.00
ROMA - Icone antiche, oggetti liturgici, stampe, disegni e manoscritti dell'arte religiosa etiopica, questo ed altro per "Nigra sum sed formosa", la mostra allestita a Cà Foscari Esposizioni, l'impianto creato dall'ateneo veneziano, di quasi 1.000 metri quadrati, affacciati sul Canal Grande, dal 13 marzo al 10 maggio. Il titolo della mostra, presentata oggi a Roma, nei Musei Vaticani, rinvia al celebre versetto del "Cantico dei Cantici", interpretato in relazione alla regina di Saba e scelto per ricordare l'antichità dell'esperienza religiosa biblica e cristiana in terra etiopica.
"La cultura etiopica - ha affermato il Cardinale Giovanni Cheli - è ricca anche nel campo dell'arte, specialmente dell'arte cristiana e sono sicuro che coloro che andranno a visitare questa mostra ne saranno molto soddisfatti". "Il messaggio della mostra - ha aggiunto Mons. Silvano Tomasi - è che dall'Africa non vengono soltanto la fame, i conflitti e le guerre etniche ma c'è anche un'antichissima e bellissima tradizione di un esempio di un Cristianesimo totalmente incarnato nell'Africa, totalmente africano e totalmente cristiano".
"Quindi - ha spiegato Mons.Tomasi - la bellezza che viene espressa attraverso le icone, i manoscritti illuminati e le croci, che sono un pò il simbolo di ciascuna delle provincie dell'Etiopia che ha voluto sviluppare la sua identità attraverso un modello di croce particolare, sono una testimonianza che ha valore oggi e continua a parlare al mondo di oggi. Un mondo però - ha sottolineato - sconosciuto, di cui si parla poco e di cui si conosce molto poco".
"La mostra - secondo Mons. Tomasi - dovrebbe essere un pò uno stimolo a entrare in questa fetta del mondo cristiano per conoscere la forma di arte ed espressione che è unica, e da qui cercare di capire anche l'Africa di oggi". La mostra si snoda su un filo narrativo e le sagome che dal ponte di Cà Foscari accompagnano il visitatore sin dentro l'area espositiva sottolineano il ruolo dei personaggi all'interno del percorso. Già dal piano terreno, le suggestioni della civiltà artistica etiopica sono rappresentate da una serie di fotografie, filmati e musiche.
Inoltre, le acqueforti di Lino Bianchi Barriviera sulle chiese rupestri fatte erigere dal re Lalibala (XII-XIII secolo), da cui prende nome la città santa costruita sulle montagne del Lasta. Scorci e decorazioni di questi edifici sono proiettati sulle pareti delle sale adiacenti al salone d'ingresso. Nella sala di collegamento al piano superiore, una processione circonda vetrine con croci astili e invita lo spettatore a salire al secondo salone dove lo attende il Mappamondo di Fra Mauro, capolavoro cartografico della Biblioteca Marciana.
Questo secondo salone è tutto giocato sul simbolo del libro: codici miniati e rotoli magici, giustapposti alle prime testimonianze dei viaggiatori europei in Etiopia. Quattro sale contigue allineano diverse decine di preziose icone, per la più parte inedite, dal XV al XIX secolo, mentre una si incentra sulla figura di Nikolaus Brancaleon, il pittore veneziano inviato dal doge in Etiopia alla fine del '400, mostrando un'opera attribuita alla sua bottega e i libri di modelli che scaturiscono dal suo arrivo in terra d'Africa.
"Nigra sum sed formosa" è la prima rilevante mostra sull'arte religiosa etiopica che si tiene nel nostro Paese ma si caratterizza anche per il fatto che, accanto alle opere originali, appaiono materiali tipici di un ambito multimediale. Infatti, sono presenti anche immagini fotografiche ad alta definizione proiettate su tutta la parete, video di archivio ed altri realizzati per la circostanza, spezzoni di filmati e di documentari, registrazioni musicali.
La mostra ha proprio un'apposita ed articolata colonna sonora, che varia di sezione in sezione, ma sono previste anche guide multimediali orginali, come le spiegazioni, riprese nelle settimane precedenti, di Stanislaw Chojnacki, patriarca degli studi moderni sull'arte etiopica, trasmesse in loop in alcuni punti salienti del percorso espositivo, su schermi ad altezza naturale e ad alta definizione, quasi mettendo a disposizione dei visitatori una guida-ologramma. L'uso della multimedialità consente così di ricostruire un contesto più credibile alla singola opera garantendo una più adeguata conoscenza dell'arte etiope, specie per quanto riguarda manufatti non trasportabili.
giovedì 19 marzo 2009
Diseguaglianze in salute nel mondo Padova 16 novembre Cuamm Medici con l'Africa
Diseguaglianze in salute nel mondo
Padova 16 novembre
Sabato 20 novembre si tiene a Padova (Palazzo della Ragione) il Convegno internazionale “La giusta parte per tutti. Diseguaglianze in salute nel mondo” promosso dal Cuamm Medici con l’Africa, l’organizzazione non governativa padovana di ambito sanitario.
In un mondo in cui l’offerta sanitaria su scala globale penalizza i più deboli, il Convegno esprime la volontà del Cuamm Medici con l’Africa di coinvolgere gli attori della cooperazione e l’opinione pubblica nell’accorata denuncia che esiste una “giusta parte per tutti” di cure e assistenza sanitaria, riportando in primo piano l’angolo visuale di quanti rischiano di essere irreversibilmente esclusi dall’accesso alla salute.
NUOVE VIE DELLA COOPERAZIONE SANITARIA INTERNAZIONALE
Ogni anno, nel mondo, muoiono 10 milioni di bambini. Il 90% delle morti si concentra in soli 42 dei 192 paesi presenti sul globo, in Asia e nell’Africa sub-sahariana. Il 95% delle morti per Aids si verificano in Africa (2,4 milioni) e in Asia del sud (440.000).
Le ingiuste differenze nello stato di salute della popolazione tra diverse aree del mondo sono evitabili? Esistono interventi di provata efficacia per un rapido miglioramento della salute delle popolazioni del Sud del mondo? Per una donna, un bambino, un malato di Aids, oggi, “diseguaglianze in salute”, concretamente, significa morire. Quali le azioni possibili per ridurre questo carico di morti evitabili che assumono sempre più i tratti di molteplici e diffusi Olocausti? Il Convegno si propone di dare risposta a questi interrogativi, suggerendo piste di ricerca e concrete esperienze di successo.
PADOVA CAPITALE DEL DIBATTITO INTERNAZIONALE SULL’EQUITÀ
Il Convegno vede la partecipazione dei più importanti attori impegnati a livello internazionale nello studio e nell’analisi dei temi dell’equità in salute: Antoinette Ntuli, Gega (Global Equity Gauge Alliance); Paula Braveman, direttrice Centro per le diseguaglianze sociali in salute, Università di San Francisco, California; Giorgio Tamburlini, direttore scientifico, Irccs Burlo Garofolo, Trieste; Godfrey Musuka, Equinet; Sam Agatre Okuonzi, Executive Director, National Council for children, Uganda; John Odaga, Università di Nkozi, Uganda.
Interverranno tra gli altri: Flavio Zanonato, sindaco di Padova; Mons. Silvano Tomasi, nunzio apostolico della Santa Sede presso le Nazioni Unite e il Card. Ersilio Tonini.
Crisi economica: Mons. Tomasi (S. Sede) all’ONU, una base etica per l'attività finanziaria
“L'attività finanziaria – è il monito di mons. Tomasi - non può ridursi a ottenere facili profitti, ma deve includere anche la promozione del bene comune fra quanti prestano, prendono in prestito e lavorano”. Osservando che a risentire maggiormente delle conseguenze negative della crisi saranno i bambini, il rappresentante della Santa Sede ha affermato che secondo la Banca mondiale “per il 2009 è previsto un ingente aumento del tasso di mortalità infantile nei Paesi poveri” a causa della diminuzione “dell'aiuto estero e delle rimesse degli emigrati”. “In diversi Paesi poveri – ha spiegato - i programmi educativi, sanitari e alimentari vengono realizzati grazie ai flussi di aiuto dei donatori ufficiali” mentre molte famiglie offrono vitto e istruzione ai propri figli “grazie alle rimesse degli emigrati”. Se la riduzione di questi due flussi continuerà il diritto dei bambini ad essere nutriti ed educati “potrebbe essere messo a repentaglio”. Duplici le conseguenze: “un minore investimento nell'istruzione oggi si tradurrà in una minore crescita domani. Al contempo, un'alimentazione povera dei bambini peggiora in maniera significativa l'aspettativa di vita, aumentando i tassi di mortalità sia infantile sia adulta”; conseguenze negative che “vanno oltre la dimensione personale e colpiscono società intere”.
Per la Santa Sede occorre una "vigorosa leadership" in Iraq
di Elisabetta Mancini
CITTA’ DEL VATICANO - La Santa Sede non abbassa il tiro sull'Iraq. La gravissima situazione nel Paese è stata presa in esame da monsignor Silvano M. Tomasi (nella foto), Nunzio apostolico e Osservatore permanente della Santa Sede presso l’Ufficio delle Nazioni Unite a Ginevra, che intervenendo alla Conferenza internazionale convocata dall’Alto Commissariato Onu per i rifugiati ha avanzato alla comunità internazionale una serie di richieste. Prima fra tutte “una vigorosa leadership” per “trovare le strade per la riconciliazione, il dialogo e la pace” in Medio Oriente e rispondere alle necessità degli sfollati e dei rifugiati iracheni, che sono oltre 2 milioni all’interno del Paese e altrettanti all’estero. A parere di monsignor Tomasi, in Iraq sembra più facile morire che vivere, e gli attentati e le uccisioni ne sono la prova evidente. Il Nunzio ha fatto particolare riferimento all’ondata di odio e distruzione - che ha definito "senza precedenti” - e che ha avuto un “impatto mortale nell’intera regione medio-orientale”. Secondo monsignor Tomasi i numeri parlano chiaramente. 4 milioni di rifugiati e 40-50.000 iracheni che lasciano ogni mese le loro case, mostrano la necessità “che la comunità internazionale si assuma le proprie responsabilità nel compito di protezione ed assistenza”. Il rappresentante della Santa Sede ha poi ricordato la situazione dei cristiani iracheni, che - ha spiegato - soffrono gravi conseguenze. “Laddove guerra e violenza hanno distrutto il tessuto sociale e l’unità dell’Iraq – ha fatto presente - scelte politiche coscienziose e un impegno umanitario senza discriminazioni sarebbero il primo passo per ristabilire una unità nel pluralismo”.
Mons. Tomasi: favorire un’educazione inclusiva che rispetti la persona
D’altro canto, ha rilevato, se è importante un’economia che offra occasioni di lavoro dignitoso, è ancor più rilevante promuovere “la coesione sociale e la mutua accettazione e l’apprezzamento delle diversità”. Mons. Tomasi ha quindi messo l’accento sul ruolo irrinunciabile dei genitori nell’educazione delle nuove generazioni e della scuola. Quest’ultima, ha auspicato, deve essere un ambiente in cui trovino spazio relazioni positive tra i diversi membri della comunità. Nel 60.mo anniversario della Dichiarazione universale dei diritti umani, l’osservatore vaticano ha quindi levato un appello affinché si raggiunga l’obiettivo dell’istruzione per tutti, indicato negli Obiettivi del Millennio. In particolare, il presule ha ricordato che nell’Africa subsahariana sono ancora 38 milioni i bambini che non hanno accesso alla scuola primaria. L’educazione inclusiva, ha concluso l’arcivescovo Tomasi, è uno strumento importante per “favorire il dialogo tra le persone, i popoli e le culture nella loro diversità creativa”. (A.G.)
PER LA CHIESA I LUMBARD SONO UN PERICOLO
ROMA - "Soddisfazione" per il decreto legge sugli immigrati e schiaffi a Umberto Bossi, definito dall' Osservatore romano "pericolo" per la stabilità democratica del paese. Così la Chiesa italiana benedice la firma apposta da Scalfaro in calce al decreto che dovrebbe regolamentare la presenza di lavoratori stranieri in Italia. Convinti apprezzamenti arrivano dal vescovo Armando Franco, presidente della Caritas italiana, l' ente caritativo della Cei, il "parlamentino" dei vescovi ("Il nostro giudizio non può che essere assolutamente positivo"). Così pure monsignor Giuseppe Pasini, direttore della stessa Caritas, secondo il quale "il decreto va considerato in maniera positiva, come un punto di riferimento per tutti". Giudizi lusinghieri anche dal quotidiano cattolico Avvenire, il giornale della Cei. Nel numero di oggi il quotidiano ospita, significativamente, una intervista di monsignor Silvano Tommasi, sottosegretario del Pontificio Consiglio per la pastorale delle migrazioni, che sottolinea alcuni punti qualificanti del decreto. Il monsignore elogia in particolare i "ricongiungimenti familiari, il diritto alla copertura sanitaria, soprattutto per le donne, e la possibilità di regolarizzare la presenza degli immigrati che hanno un lavoro, anche se - ha aggiunto - i 6 mesi di contributi richiesti potrebbero spaventare i datori di lavoro". L' Osservatore romano nota, invece, come la democrazia italiana per colpa di certi atteggiamenti della Lega nord di Umberto Bossi sia "ferita". Con l' uscita dal Senato, scrive il giornale vaticano, i senatori lumbard hanno inferto un "nuovo colpo ai princìpi di democrazia parlamentare sanciti dalla Costituzione". "Bossi - è il richiamo dell' Osservatore - ha contrapposto un' altra volta il ' Parlamento' leghista di Mantova a quello di Roma: quando da una parte politica si usano espressioni di questo tipo, la democrazia è realmente in pericolo".
LA S. SEDE ALLA 30°CONFERENZA DI CROCE ROSSA E MEZZALUNA ROSSA
Mons. Tomasi è nuovamente intervenuto, sempre a Ginevra, alla 94.a Sessione del Consiglio dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL). Riportiamo per intero in “Documentazione” il suo intervento.
Cluster bombs
"Non è possibile continuare a permettere la morte di vittime innocenti a causa di armi dagli effetti indiscriminati come le bombe a grappolo, motivo per il quale la Santa Sede ha chiesto una moratoria nel loro utilizzo e trattati internazionali che le proibiscano e le limitino". Lo ha affermato mons. Silvano Maria Tomasi, Osservatore Permanente presso l’Ufficio delle Nazioni Unite a Ginevra, durante la riunione del gruppo di esperti governativi sulla Convenzione per la proibizione o restrizione dell’uso di armi convenzionali con effetti indiscriminati, svoltasi nella città svizzera dal 28 agosto al 6 settembre.
“L’ultima guerra del Libano – ha detto l’osservatore della Santa Sede - ci porta in modo tragico le prove del dramma umanitario che si dipana sotto i nostri occhi. Le immagini e le prove che ci arrivano sono allarmanti”. E ciò, ha aggiunto, “è confermato dalle prime statistiche date dalle Nazioni Unite che mostrano la gravità e la dimensione di questo problema”. Mons. Tomasi ha ricordato, in tono critico, che tutte le armi, prima di essere usate o controllate, sono state definite “legittime” dagli interessati. Approvazioni destituite di fondamento, ripetutesi in passato con le armi chimiche, biologiche, incendiarie, con i laser. Ma “il fatto di dichiarare un’arma particolare legittima non la rende più accettabile né meno inumana” - ha stigmatizzato mons. Tomasi, che con realismo ha affermato: “Il miglioramento della qualità delle sotto-munizioni non può essere da solo la soluzione. Riportare il tasso di fallimento all’1 o 2% non significa nulla in sé. L’1% di centomila piccole bombe è comunque molto”.
Mentre sono la “determinazione degli obiettivi” e “la proporzionalità” gli elementi “da prendere in considerazione”. “Le vittime dei conflitti passati e le vittime potenziali dei conflitti futuri - ha esortato mons. Tomasi - non possono attendere anni di negoziati e di discussioni. Perciò, una moratoria sull'utilizzo di queste armi si impone”. Qui - ha concluso rivolto ai colleghi di assemblea - non si tratta di un problema teorico, ma di un dramma che ha il volto delle “decine di vittime innocenti” e delle “sofferenze che accompagnano migliaia di famiglie per anni”.
Fino al 30 agosto scorso, le Nazioni Unite registravano un bilancio di 13 morti e 47 feriti a causa dalle bombe a grappolo, a partire dal “cessate il fuoco”. Le Nazioni Unite e le squadre per l’eliminazione delle bombe hanno identificato 405 siti contaminati da componenti di bombe a grappolo e hanno rimosso oltre 2.900 elementi inesplosi in 15 giorni di lavoro. E lo stesso segretario dell’Onu, Kofi Annan ha denunciato l'uso di bombe a grappolo da parte di Israele durante la guerra contro Hezbollah in Libano e chiedendo al governo israeliano di fornire mappe e indicazioni sulle località dove le bombe a frammentazione sono state usate in modo che si possa localizzarle al fine di proteggere i civili". "Questo genere di armi non dovrebbero essere utilizzate nelle zone civili" e l’Onu dovrà "agire rapidamente per neutralizzarle" - ha detto Annan. Anche vicesegretario o nu per gli affari umanitari Jan Egeland ha condannando come "immorale" l’uso delle cluster bomb da parte di Israele.
In Italia, intanto, 37 senatori sono firmatari del disegno di legge di modifica della legge 374/97 (messa al bando delle mine antipersona) che ha l'obiettivo di estenderne gli effetti anche alle cluster bomb. A firmare il disegno di legge esponenti dell'Ulivo, di Forza Italia, di Rifondazione Comunista, del Gruppo delle Autonomie, dei Verdi, del Misto, dei Comunisti Italiani, di Italia dei Valori.
La richiesta della messa la bando delle cluster bombs nasce dalla "Stop cluster munitions" una coalizione internazionale composta da più di 115 organizzazioni della società civile che, con una campagna che ha preso il via nel novembre del 2003, ha chiesto la cessazione dell'uso, della produzione e del commercio di queste armi, e l'assunzione di responsabilità da parte degli utilizzatori per la bonifica dei territori colpiti e l'assistenza alle vittime. "Il recente ritrovamento di questi ordigni in Libano, utilizzati dall'esercito Israeliano nel conflitto contro Hezbollah, ha reso ancora più urgente la discussione di questo disegno di legge - dichiarano i senatori dell'Ulivo Nuccio Iovene e Silvana Pisa.
Va ricordato che le ditte italiane che hanno prodotto e - forse producono ancora - cluster bombs sono due: la Simmel Difesa di Colleferro (Roma) e la SNIA BDP. Simmel Difesa afferma sul proprio sito di non aver mai prodotto questo tipo di ordigni, ma il catalogo o nline - adesso non accessibile - fino a poco tempo fa le riportava.
L'approvazione di questo disegno di legge, che equipara tali ordigni alle mine per i suoi devastanti effetti sulla vita delle popolazioni colpite - dichiarano Nuccio Iovene e Silvana Pisa primi firmatari del disegno di legge - "collocherebbe il Senato italiano all'avanguardia nella lotta contro queste armi inumane ed indiscriminate”. "La significativa adesione di tanti senatori, appartenenti a diverse forze politiche, a questo disegno di legge testimonia la sensibilità e la disponibilità di larga parte del Senato per la messa al bando anche delle bombe a grappolo. Sarebbe importante che il Presidente del Senato e il Presidente della Commissione Difesa, prendendo atto di questa disponibilità e sensibilità, dessero seguito all'iter del disegno di legge al fine di arrivare ad una sua rapida conclusione. Con l'approvazione di questo provvedimento - concludono Iovene e Pisa - l'Italia può diventare l'apripista per la messa al bando totale di questi ordigni. E' una battaglia di civiltà, come quella contro le mine antipersona, che continua''. [GB]
Fonte: Unimondo
Migrazioni: Mons. Tomasi, i paesi aderiscano alla Convenzione Onu
La Carta ONU sui Diritti dei Lavoratori Migranti è "il campo di battaglia dove far prevalere i diritti umani e la centralità della persona umana, oppure le regole del mercato". Lo ha detto l'Arcivescovo Silvano Tomasi, inviato del Papa presso la sede ONU di Ginevra, intervenuto al Meeting Internazionale sulle Migrazioni (MIM) in corso a Loreto. I 26 firmatari del documento, entrato in vigore nel luglio dello scorso anno dopo ben trenta anni di attesa, sono in gran parte Paesi di origine dei flussi, pertanto gli individui che possono godere della tutela garantita dalla Carta sono solo il 3% dei migranti del mondo.
Nella tavola rotonda che ha affrontato la tematica del rapporto tra istituzioni internazionali e diritti dei migranti, monsignor Tomasi ha svolto una relazione sulla storia, l'evoluzione e le prospettive della Carta ONU sui Diritti dei Lavoratori Migranti. "Recenti proiezioni demografiche - ha esordito il presule - prevedono che, nei prossimi venti anni, il movimento migratorio globale coinvolgerà 230 milioni di persone. In tale prospettiva, appare urgente una riflessione sul fatto che i maggiori paesi di destinazione dei migranti non figurano tra i firmatari della Convenzione: né gli stati di tradizionale immigrazione (Canada, Stati Uniti, Australia), né alcuno dei Paesi membri dell'Unione Europea".
"In questo contesto - sottolinea Tomasi - è cruciale che tutti gli Stati comprendano che la Convenzione non è uno strumento per politiche immigratorie più liberali o per l'introduzione di diritti straordinari per i migranti, ma per l'estensione dei diritti umani già ampiamente accettati. Il nocciolo della questione oggi è come far accettare la Convenzione da un maggior numero di Stati per renderla più credibile e più efficace". Occorre soprattutto superare limiti evidenti come la mancata menzione del diritto al ricongiungimento familiare, e promuovere la collaborazione e la consultazione nella gestione dei flussi migratori, che pure è lasciata alla sovranità di ciascuno Stato. "L'aspetto nuovo e importante della Convenzione - conclude Tomasi - è l'intrinseca convinzione che il ricorso all'impiego di migranti irregolari sarà scoraggiato se i diritti umani di tutti i migranti verranno meglio riconosciuti".
Mons. Tomasi: la crisi alimentare mondiale minaccia la pace
Inquadrare la crisi alimentare mondiale nel contesto dei diritti umani: questo il primo passo che la comunità internazionale deve compiere, ha sottolineato mons. Tomasi. “Siamo di fronte a sfide travolgenti per nutrire adeguatamente la popolazione mondiale – ha detto - nel momento in cui l’aumento dei prezzi del cibo, in tutto il mondo, minaccia la stabilità di molti Paesi in via di sviluppo”. Per questo, ha ribadito il presule, è necessaria “un’azione internazionale combinata”, che faccia attenzione “alle disfunzioni del sistema commerciale mondiale, dal momento che ogni anno 4 milioni di persone vanno ad ingrossare le fila degli 854 milioni di coloro che soffrono di fame cronica”. Una fame che, ha continuato mons. Tomasi, spesso produce carenze educative e sanitarie, conflitti, migrazioni incontrollate, degrado ambientale ed anche fenomeni terroristici. Ma alla base della crisi alimentare, ha aggiunto il presule, non c’è solo la mancanza di cibo, quanto piuttosto l’impossibilità “di accedere, sia fisicamente che finanziariamente, alle risorse agricole”.
Certo, ha detto mons. Tomasi, il primo obiettivo per lo Sviluppo del Millennio è quello di dimezzare entro il 2015 il numero delle persone che vivono in estrema povertà, ma spesso “gli obiettivi dichiarati non sono accompagnati da politiche concrete”. Il risultato è che, a causa del rincaro dei prezzi del cibo, un miliardo di persone dei Paesi poveri è costretto a spendere ogni giorno il proprio reddito quotidiano di un dollaro per nutrirsi. Di qui, l’appello dell’osservatore permanente della Santa Sede a guardare al problema della malnutrizione non solo come “ad un’emergenza temporanea”, ma “nel contesto di una crescita economica giusta e sostenibile”, puntando quindi a misure riguardanti “non solo lo sviluppo agricolo e rurale, ma anche la salute, l’educazione, il ruolo delle leggi ed il rispetto dei diritti umani”.
Poi, il richiamo ad “un rinnovato impegno” soprattutto in Africa; l’appello affinché “il dovere alla solidarietà verso i membri più vulnerabili della società sia riconosciuto” e l’esortazione a guardare la crisi alimentare “in una prospettiva etica”, così che “l’accaparramento e le speculazioni siano inaccettabili ed il diritto del singolo individuo alla proprietà, incluso quello delle donne, sia riconosciuto”. Mons. Tomasi ha poi suggerito l’organizzazione di cooperative per ovviare ai limiti delle piccole aziende agricole, danneggiate dalle imprese multinazionali: “Lo sfruttamento della terra per la produzione di cibo e di altre risorse – ha detto – deve essere bilanciato non dal mercato, ma da meccanismi che rispondano al bene comune”. Infine, il presule ha ribadito la necessità di “una nuova mentalità” che ponga “l’uomo al centro e non si focalizzi semplicemente sul profitto economico”: “Troppe persone muoiono ogni giorno di fame – ha concluso mons. Tomasi – mentre risorse immense vengono stanziate per le armi”. Una situazione insostenibile, poiché “il diritto al cibo riguarda il futuro della famiglia umana e la pace globale. (Radio Vaticana)
MOSTRE: A VENEZIA ICONE, STAMPE E DISEGNI DELL'ARTE RELIGIOSA ETIOPICA
Roma, 4 mar. - (Adnkronos/Adnkronos Cultura) - Icone antiche, oggetti liturgici, stampe, disegni e manoscritti dell'arte religiosa etiopica, questo ed altro per "Nigra sum sed formosa", la mostra allestita a Ca' Foscari Esposizioni, l'impianto creato dall'ateneo veneziano, di quasi 1.000 metri quadrati, affacciati sul Canal Grande, dal 13 marzo al 10 maggio. Il titolo della mostra, presentata oggi a Roma, nei Musei Vaticani, rinvia al celebre versetto del "Cantico dei Cantici", interpretato in relazione alla regina di Saba e scelto per ricordare l'antichita' dell'esperienza religiosa biblica e cristiana in terra etiopica.
"La cultura etiopica - ha affermato il Cardinale Giovanni Cheli - e' ricca anche nel campo dell'arte, specialmente dell'arte cristiana e sono sicuro che coloro che andranno a visitare questa mostra ne saranno molto soddisfatti". "Il messaggio della mostra - ha aggiunto Mons. Silvano Tomasi - e' che dall'Africa non vengono soltanto la fame, i conflitti e le guerre etniche ma c'e' anche un'antichissima e bellissima tradizone di un esempio di un Cristianesimo totalmente incarnato nell'Africa, totalmente africano e totalmente cristiano".
"Quindi - ha spiegato Mons.Tomasi - la bellezza che viene espressa attraverso le icone, i manoscritti illuminati e le croci, che sono un po' il simbolo di ciascuna delle provincie dell'Etiopia che ha voluto sviluppare la sua identita' attraverso un modello di croce particolare, sono una testimonianza che ha valore oggi e continua a parlare al mondo di oggi. Un mondo pero' - ha sottolineato - sconosciuto, di cui si parla poco e di cui si conosce molto poco".A Venezia icone, stampe e disegni dell'arte religiosa etiopica
"La cultura etiopica - ha affermato il Cardinale Giovanni Cheli - e' ricca anche nel campo dell'arte, specialmente dell'arte cristiana e sono sicuro che coloro che andranno a visitare questa mostra ne saranno molto soddisfatti". "Il messaggio della mostra - ha aggiunto Mons. Silvano Tomasi - e' che dall'Africa non vengono soltanto la fame, i conflitti e le guerre etniche ma c'e' anche un'antichissima e bellissima tradizione di un esempio di un Cristianesimo totalmente incarnato nell'Africa, totalmente africano e totalmente cristiano".
"Quindi - ha spiegato Mons.Tomasi - la bellezza che viene espressa attraverso le icone, i manoscritti illuminati e le croci, che sono un po' il simbolo di ciascuna delle provincie dell'Etiopia che ha voluto sviluppare la sua identita' attraverso un modello di croce particolare, sono una testimonianza che ha valore oggi e continua a parlare al mondo di oggi. Un mondo pero' - ha sottolineato - sconosciuto, di cui si parla poco e di cui si conosce molto poco".
"La mostra - secondo Mons. Tomasi - dovrebbe essere un po' uno stimolo a entrare in questa fetta del mondo cristiano per conoscere la forma di arte ed espressione che e' unica, e da qui cercare di capire anche l'Africa di oggi". La mostra si snoda su un filo narrativo e le sagome che dal ponte di Ca' Foscari accompagnano il visitatore sin dentro l'area espositiva sottolineano il ruolo dei personaggi all'interno del percorso. Gia' dal piano terreno, le suggestioni della civilta' artistica etiopica sono rappresentate da una serie di fotografie, filmati e musiche.
Inoltre, le acqueforti di Lino Bianchi Barriviera sulle chiese rupestri fatte erigere dal re Lalibala (XII-XIII secolo), da cui prende nome la citta' santa costruita sulle montagne del Lasta. Scorci e decorazioni di questi edifici sono proiettati sulle pareti delle sale adiacenti al salone d'ingresso. Nella sala di collegamento al piano superiore, una processione circonda vetrine con croci astili e invita lo spettatore a salire al secondo salone dove lo attende il Mappamondo di Fra Mauro, capolavoro cartografico della Biblioteca Marciana.
Questo secondo salone e' tutto giocato sul simbolo del libro: codici miniati e rotoli magici, giustapposti alle prime testimonianze dei viaggiatori europei in Etiopia. Quattro sale contigue allineano diverse decine di preziose icone, per la piu' parte inedite, dal XV al XIX secolo, mentre una si incentra sulla figura di Nikolaus Brancaleon, il pittore veneziano inviato dal doge in Etiopia alla fine del '400, mostrando un'opera attribuita alla sua bottega e i libri di modelli che scaturiscono dal suo arrivo in terra d'Africa.
"Nigra sum sed formosa" e' la prima rilevante mostra sull'arte religiosa etiopica che si tiene nel nostro Paese ma si caratterizza anche per il fatto che, accanto alle opere originali, appaiono materiali tipici di un ambito multimediale. Infatti, sono presenti anche immagini fotografiche ad alta definizione proiettate su tutta la parete, video di archivio ed altri realizzati per la circostanza, spezzoni di filmati e di documentari, registrazioni musicali.
La mostra ha proprio un'apposita ed articolata colonna sonora, che varia di sezione in sezione, ma sono previste anche guide multimediali orginali, come le spiegazioni, riprese nelle settimane precedenti, di Stanislaw Chojnacki, patriarca degli studi moderni sull'arte etiopica, trasmesse in loop in alcuni punti salienti del percorso espositivo, su schermi ad altezza naturale e ad alta definizione, quasi mettendo a disposizione dei visitatori una guida-ologramma. L'uso della multimedialita' consente cosi' di ricostruire un contesto piu' credibile alla singola opera garantendo una piu' adeguata conoscenza dell'arte etiope, specie per quanto riguarda manufatti non trasportabili.
INTERVENTO DI S. E. MONS. SILVANO M. TOMASI, OSSERVATORE PERMANENTE PRESSO L'UFFICIO DELLE NAZIONI UNITE E ISTITUZIONI SPECIALIZZATE A GINEVRA
10 giugno 2008
Presidente,
l'economia attuale è afflitta dalla scarsità di posti di lavoro, dagli elevati prezzi delle abitazioni, dei generi alimentari e del petrolio, dall'instabilità dei mercati finanziari e dal calo demografico. È quindi di vitale importanza valutare attentamente l'impatto di queste crisi sui lavoratori, in particolare su quelli vulnerabili e meno qualificati, ricordando sempre che il lavoro ha un ruolo duplice: economico e sociale.
Presidente,
negli ultimi anni un importante elemento di disturbo dei mercati internazionali del lavoro è stato il numero di posti di lavoro, molto basso rispetto a quanto ci si aspettava in base al tasso di crescita economica. Infatti, la recente fase di crescita economica sia nei Paesi industrializzati sia in quelli in via di sviluppo non è stata accompagnata da un aumento proporzionale dell'occupazione: "una crescita senza occupazione". Questa tendenza riduce la possibilità di perseguire gli obiettivi desiderati. Nei Paesi industrializzati, per esempio, l'invecchiamento della popolazione introduce la necessità di garantire che i lavoratori godano del diritto alla pensione e che la solidarietà fra le generazioni venga rispettata. Nei Paesi in via di sviluppo, lo stadio attuale di progresso economico non è riuscito a migliorare la qualità del lavoro. Ne è un esempio chiaro l'Africa. Sebbene in questa regione vi sia un elevato rapporto fra popolazione e occupazione, quest'ultima è associata alla povertà. Troppo spesso, la mancanza di opportunità educative e professionali e la crescita lenta della produttività costringono i poveri a lavorare per sopravvivere, indipendentemente dalla qualità e dal decoro del lavoro che svolgono.
La presenza di un gran numero di "lavoratori poveri" è un altro aspetto importante dei mercati internazionali. Il documento 2008 Global Employment Trends dell'Organizzazione Internazionale del Lavoro (Ilo) mostra che nel mondo esistono ancora 486,7 milioni di lavoratori che non guadagnano a sufficienza per elevare se stessi e le loro famiglie al di sopra della linea di povertà di un dollaro al giorno, e 1, 3 miliardi che non possono oltrepassare la linea di povertà di 2 dollari al giorno. In altre parole, il 40% di tutti i lavoratori è povero nonostante lavori. La situazione è peggiore nei Paesi in via di sviluppo, per esempio nel continente africano. Nell'Africa sub-sahariana in particolare, le persone che si trovano in situazioni lavorative vulnerabili (sia come dipendenti sia come autonomi) supera il 70%. Nel 2007, il numero di lavoratori poveri da un dollaro al giorno era maggiore del 50% e quello dei lavoratori poveri a 2 dollari al giorno superava l'85%. Questo squilibrio è accompagnato da rapporti commerciali e finanziari sbilanciati con partner più potenti e tecnologicamente avanzati. Papa Benedetto XVI ha osservato: "In molte situazioni i deboli devono piegare la testa davanti non alle esigenze della giustizia, ma alla nuda forza di chi ha più mezzi di loro".
Intrappolati nelle attuali difficoltà economiche, giovani, donne, piccoli agricoltori e disabili trovano difficile offrire il proprio contributo al mondo del lavoro e ottenere occupazioni adatte alle proprie capacità. I giovani sono il futuro e abbiamo la particolare responsabilità di soddisfare le loro aspettative: "Le attuali generazioni dovrebbero garantire condizioni di sviluppo socio-economico equo, sostenibile e universale a quelle nuove" (Unesco; Dichiarazione sulle Responsabilità delle Attuali Generazioni verso le Future Generazioni, 1997, articolo 10). Le donne lottano ancora per ottenere un pari trattamento: la società deve essere più creativa ed elaborare appropriate opportunità occupazionali per le donne, considerando il ruolo essenziale che svolgono in famiglia. I piccoli agricoltori operosi dovrebbero essere messi nelle condizioni di espandere la propria produzione nella attuale crisi alimentare. La loro operosità merita sostegno affinché possano avere accesso al mercato e divenire elementi di edificazione dello sviluppo nei loro Paesi. I disabili non dovrebbero essere emarginati e, secondo le loro possibilità, dovrebbero anche essere inclusi come lavoratori nelle imprese per poter offrire il proprio contributo e veder riconosciuta la propria dignità.
Da qualche tempo l'Ilo è una guida efficace nella promozione di occupazioni decorose, rispettose della dignità umana, sia nei Paesi industrializzati sia in quelli in via di sviluppo. A tale proposito bisogna far attenzione a non ridurre il concetto di "decoro" a lavori semplicemente remunerati meglio e a condizioni di lavoro più sane. La dignità umana esige un concetto più ampio: il lavoro è per una persona l'opportunità di vedersi all'opera e di sviluppare la rete di rapporti in cui è inserita, permettendole di realizzare la propria vocazione sfruttando appieno le sue qualità. In altre parole, un lavoro decoroso permette l'espressione della libertà personale e la responsabilità di autorealizzazione che porteranno a uno "sviluppo integrale dell'essere umano" (Dichiarazione sul Diritto allo Sviluppo, Risoluzione Unga 41/128, 4 dicembre 1986).
La creazione di lavori più decorosi e produttivi implica uno sforzo comune da parte di operai, impiegati e Stato, secondo la tradizionale tripartizione dell'Ilo. In questa cornice, le società multinazionali e altre imprese commerciali assumono un ruolo decisivo. Come ha affermato la Commissione sui Diritti Umani essi hanno la responsabilità sociale di promuovere diritti culturali, sociali, economici, civili e politici e contribuire alla loro realizzazione. Per quanto possibile, nelle aree più povere "daranno ai lavoratori una retribuzione che garantisca un adeguato livello di vita a loro e alle loro famiglie" (Commissione sui Diritti Umani, Norme sulle responsabilità delle società multinazionali e altre imprese commerciali a proposito dei diritti umani, Doc. Un e/c n. 4/Sub. 2/2003/12/Rev.2 del 26 agosto 2003).
Nel mercato del lavoro globale la mobilità geografica dei lavoratori è emersa quale importante questione politica e sociale. Il rispetto della dignità umana e dei diritti dei migranti è la migliore garanzia affinché il loro lavoro sia un contributo positivo all'economia locale e allo sviluppo dei Paesi d'origine. Quindi, a lungo termine, contribuiranno alla creazione di condizioni che renderanno la migrazione una scelta libera e non più una pressante necessità.
Un altro evidente elemento nei mercati del lavoro internazionali riguarda principalmente i Paesi industrializzati: la flessibilità lavorativa. La flessibilità sembra una delle caratteristiche prominenti dell'attuale fase della globalizzazione e, se riferita al mercato del lavoro, è spesso fonte di gravi preoccupazioni. In alcuni settori dell'economia, la flessibilità offre vantaggi sia ai datori di lavoro sia ai lavoratori, mentre in altri potrebbe diventare una forma inaccettabile di occupazione precaria e basata sullo sfruttamento. In ogni caso, la flessibilità richiede una politica in cui le offerte dei datori di lavoro e le necessità e le preferenze dei lavoratori si incontrino in modo giusto e cooperativo.
Nonostante questi problemi, il dibattito sulla flessibilità ci permette di mettere la persona umana al centro delle politiche di mercato. Infatti, la flessibilità sposta l'attenzione dal lavoro alla persona che lo svolge. In altre parole, nonostante alcuni costi da affrontare, la flessibilità permette all'uomo di esprimere pienamente la sua creatività e il suo talento. Ciò è ottenibile mediante il ricorso corretto al principio di sussidiarietà, elaborando politiche e strumenti che permettano a ogni persona di essere nella posizione migliore per realizzare la propria vocazione.
Tuttavia, senza ombra di dubbio questi cambiamenti nel mercato del lavoro implicano costi di transizione che possono essere rilevanti: la flessibilità può essere accompagnata da una maggiore incertezza e volatilità economica, che potrebbero essere fonte di preoccupazione, in particolare per le famiglie.
Ciò è sicuramente vero per i lavoratori poco qualificati che inevitabilmente hanno un più debole potere contrattuale nei rapporti con i datori di lavoro. Infatti, una delle conseguenze della crescente flessibilità è la tendenza ad ampliare il divario fra elevate capacità e scarse abilità a beneficio delle prime.
È dunque necessario che gli individui non siano soli nella transizione verso la flessibilità: la sussidiarietà deve essere accompagnata dalla solidarietà e ciò si deve riflettere in azioni precise intraprese da chi stabilisce le politiche e da altri attori economici quali i sindacati e gli imprenditori. Queste politiche dovrebbero essere elaborate per sostenere quanti sono penalizzati dalla flessibilità, in particolare i più deboli, mediante un uso appropriato della sicurezza sociale e migliorando le loro competenze con la formazione e l'educazione relativa alla propria vocazione.
Nel dibattito attuale sul mercato internazionale del lavoro, tutti i suggerimenti dovrebbero prendere in considerazione due fatti fondamentali. Innanzitutto l'importanza della "dimensione soggettiva" del lavoro. Ciò che dà valore al lavoro non è il suo prodotto, ma chi lo svolge. Questo ci permette di parlare di dignità del lavoro. Senza questa dimensione soggettiva non ci si preoccupa della dignità del lavoro perché l'unica dimensione importante diviene quella legata alla produttività economica. In secondo luogo, la rilevanza della "dimensione sociale": il lavoro è un'attività sociale intrapresa dall'individuo, ma sempre in seno a una società. Come ha affermato Papa Giovanni Paolo II: "Più che mai, lavorare è un lavorare con gli altri e un lavorare per gli altri: è un fare qualcosa per qualcuno" (Centesimus annus, n. 31).
Le dimensioni soggettiva e sociale del lavoro gettano nuova luce su un aspetto cruciale dell'attuale globalizzazione: il movimento internazionale dei lavoratori. Il lavoro non può essere considerato come altri anonimi fattori di produzione come il capitale. Infatti, sebbene sia complementare a essi, ha la priorità sulla produzione. Se, poi, la priorità viene data alla persona, le politiche di immigrazione devono sostenere il ricongiungimento familiare e affrontare il problema della "fuga dei cervelli" che affligge i Paesi poveri.
Nella fluttuazione dell'economia, l'Ilo può continuare a svolgere un ruolo attivo e cruciale nel mondo, riducendo i persistenti divari sociali. La strategia della produttività e la creazione di occupazione, l'accesso universale alle conoscenze, alla tecnologia e a maggiori competenze, la cooperazione, tutti elementi favorevoli allo sviluppo sostenibile, permetteranno all'organizzazione di raggiungere l'obiettivo a livello globale. Tuttavia, la correttezza richiede una diversificazione delle politiche e delle strategie che devono essere appropriate alle condizioni specifiche dei Paesi che non sono allo stesso punto di partenza della concorrenza economica. Anche "il miliardo di ultimi" (The Bottom Billion) deve essere inserito in un processo positivo di globalizzazione e condividerne i benefici. Può contribuire direttamente al proprio miglioramento mediante la conoscenza delle condizioni locali, l'impegno di tutte le parti della società civile che possono intraprendere iniziative appropriate, utilizzando gli esperti che le agenzie internazionali possono fornire.
Presidente,
la comunità internazionale affronta diverse sfide. Nel farlo, un fattore decisivo comune a tutte è la dignità della persona umana. Partendo da quest'ultima si possono elaborare politiche e affrontare i problemi e le sfide con fiducia, pervenendo a soluzioni creative per la realizzazione del bene comune.
Chiesa cattolica, ONU e libertà religiosa: per la Santa Sede il laicismo è il nuovo volto dell'intolleranza religiosa
Andrea Menegotto (7 aprile 2004)
Nel corso della 60a Sessione della Commissione dei Diritti Umani delle Nazioni Unite, che si svolge a Ginevra dal 15 marzo al 23 aprile 2004, in occasione del dibattito sui diritti civili e politici, il 1° aprile 2004, l’arcivescovo monsignor Silvano Tomasi, Osservatore Permanente della Santa Sede presso l’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU), ha affermato nel corso del suo intervento (disponibile in versione ufficiale in lingua inglese): «Una forma emergente e sottile di intolleranza religiosa si sta opponendo al diritto della religione di affrontare pubblicamente i temi relativi ai tipi di condotta che vanno contro i principi di natura morale e religiosa».
L’arcivescovo ha poi proseguito: «Anche se bisogna rispettare una sana concezione della natura secolare dello Stato, si deve riconoscere il ruolo positivo dei credenti nella vita pubblica. [...] In questo modo si dà una risposta, tra le altre cose, alle esigenze di un pluralismo proficuo e alla costruzione dell’autentica democrazia», e ancora: «La religione non può relegarsi in un angolo della sfera privata della vita, perdendo così la sua dimensione sociale e la sua opera caritatevole a favore delle persone più vulnerabili, che serve senza nessuna distinzione».
Monsignor Tomasi ha inoltre richiamato in particolare l’articolo 18 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, che tutela la libertà religiosa, di pensiero e di coscienza, denunciando peraltro il fatto che in molti luoghi si continua a violare la libertà religiosa: «Molti gruppi, oggi, hanno iniziato a discriminare e ad esercitare la violenza contro le minoranze religiose, spesso rimanendo totalmente impuniti. Si arriva anche ad incendiare, distruggere o profanare luoghi di culto e cimiteri; i credenti sono minacciati, vengono attaccati o uccisi e i loro leader sono oggetto di una discriminazione particolare».
Infine, «La capacità di una persona di scegliere la propria religione - ha concluso l’arcivescovo -, incluso il diritto di convertirsi ad un’altra, trova grandi ostacoli in certi contesti sociali, in violazione diretta della pur garantita libertà di coscienza».
Le parole dell’Osservatore Permanente della Santa Sede presso l’ONU paiono tenere conto della pluralità di situazioni presenti a livello internazionale, in questo primissimo scorcio di terzo millennio, in cui la libertà religiosa è violata, certo con metodi, motivazioni e gradi differenti a seconda dei contesti culturali e geografici: per citare due casi clamorosi, dalla persecuzione amministrativa contro le minoranze religiose tipica del contesto francese ai tragici episodi che vedono la repressione cruenta di cristiani e animisti in Sudan. Un accurato ed ampio report circa lo stato della libertà religiosa nel mondo annualmente è fornito da un Rapporto di una benemerita realtà quale l’ACS (Aiuto alla Chiesa che Soffre).
Sulla scia dell’intervento di monsignor Tomasi, al fine di contribuire ad un’adeguata interpretazione dello scenario internazionale relativo alla libertà religiosa e alle sue raccapriccianti violazioni, vale la pena di soffermarsi con qualche indubbia utilità su un modello teorico di carattere idealtipico, ovvero - per utilizzare una categoria derivante da Max Weber (1864-1920) - basato su «tipi ideali» che l’interprete può ricostruire ma che raramente si incontrano allo stato puro, anziché inventari ricavati dalla molteplicità dei casi concreti. Tale modello di carattere classificatorio è stato recentemente formulato da Massimo Introvigne nel volume Fondamentalismi. I diversi volti dell’intransigenza religiosa (Piemme, Casale Monferrato [Alessandria] 2004, in particolare pp. 65-68).
Se consideriamo, in una sorta di volo panoramico sulle differenti civiltà - volutamente prescindendo dalla distinzione fra Occidente e Oriente - il rapporto fra religione e cultura, notiamo la presenza di tre possibili categorie:
1. il laicismo, per cui tra fede e cultura ci deve essere totale separazione ed è negativo ogni tentativo del credente di far diventare la sua fede cultura e di giudicare la cultura, quindi anche la politica, alla luce della fede;
2. il fondamentalismo, per cui fede e cultura e fede e politica coincidono e quindi ogni modo di produzione della cultura che non parta esplicitamente dalla fede, ogni politica che non sia direttamente e senza mediazioni religiosa, sarà considerata necessariamente sospetta. Nel caso dei gruppi che si muovono nella nicchia più radicale, la mancata coincidenza fra religione, cultura e politica è considerata direttamente intollerabile e demoniaca. Tali gruppi o si separano totalmente dalla società circostante vivendo in enclave o comunità che riducono al minimo il contatto con gli «altri», oppure decidono che è assolutamente necessario reagire al carattere intollerabile della società cambiandola e diventano movimenti religiosi di tipo «rivoluzionario» (cfr. Catherine Wessinger, How the Millennium Comes Violently. From Jonestown to Heaven’s Gate. Seven Bridges Press, New York - Londra 2000 e C. Wessinger [a cura di], Millennialism, Persecution, and Violence. Historical Cases. Syracuse University Press, Syracuse [New York] 2000), con possibili derive verso la violenza e l’intolleranza nei confronti dell’«altro» e quindi con probabili e gravi problemi per la salvaguardia della libertà religiosa laddove tali tendenze radicali - spesso di matrice islamica, ma studi quali il testo I fondamentalismi (Elledici, Leumann [Torino] 2001) dello storico svizzero delle religioni Jean-François Mayer e il già citato volume di Massimo Introvigne ci fanno notare che si può, pur con qualche problematicità, parlare di fondamentalismo anche in relazione ad altre esperienze religiose - hanno il sopravvento in un determinato contesto politico;
3. infine, la laicità, per cui tra fede e cultura non c’è separazione, ma distinzione e dunque la cultura, come la politica e tutte le realtà terrene e secolari, ha una sua sfera di autonomia che va riconosciuta e difesa, pur potendo e dovendo essere giudicata alla luce della fede e della morale.
Come non manca di notare lo stesso direttore del CESNUR: «Il confronto fra laicismo, fondamentalismo e laicità contribuisce [...] a rendere ragione di un gran numero di crisi locali ed è essenziale per impostare la questione del “fondamentalismo”» (op. cit., p. 66).
Risulta piuttosto evidente come, nonostante l’assonanza linguistica, la laicità non sia la laïcité à la française, che coincide piuttosto con il laicismo, termine quest’ultimo che si rivela più adatto a tradurre il vocabolo francese «laïcité» e a cui paiono particolarmente adattarsi le parole problematiche di monsignor Tomasi che - come abbiamo visto - in apertura del suo intervento ricorda l’esistenza di una forma «emergente e sottile di intolleranza religiosa [che] si sta opponendo al diritto della religione di affrontare pubblicamente i temi relativi ai tipi di condotta che vanno contro i principi di natura morale e religiosa».
Dal canto nostro, ci auguriamo che l’Italia, per anni riconosciuta sulla scena internazionale come uno dei paesi più favorevoli alla libertà religiosa, non intraprenda strade sbagliate, quali quella abbozzata nel disegno di legge sulla «manipolazione mentale», che con il pretesto di introdurre leggi speciali contro le «sette» nocive, finiscono per mettere in pericolo la libertà religiosa di tutti i cittadini e pure di associazioni e movimenti che operano all’interno delle Chiese maggioritarie.