L’Alto Commissariato ONU per i rifugiati (ACNUR) proponga alle Nazioni Unite un maggior coordinamento delle politiche riguardanti i flussi migratori, per arginare il dramma delle migliaia di persone che muoiono nel tentativo di ricostruirsi una vita lontano dalle tragedie dei propri Paesi, in particolare i profughi dal Medio Oriente. La sollecitazione è venuta dall’arcivescovo Silvano Tomasi, osservatore permanente della Santa Sede all’ONU di Ginevra, intervenuto nei giorni scorsi durante la riunione del Comitato esecutivo dell’ACNUR. Il servizio di Alessandro De Carolis:
Nel dramma mondiale che riguarda il quotidiano approdo di immigrati in nazioni considerate un mezzo per riapproriarsi di un futuro, altrimenti impossibile nei Paesi di provenienza, c’è un aspetto ricorrente e tragico che passa sovente in secondo piano: quello della morte che moltissimi sfollati trovano nel tentativo di rifarsi una vita. Le questioni giuridiche e il regolamento dei flussi di chi chiede asilo prendono il sopravvento sulla sorte di chi non è riuscito ad attraversare quel lembo di deserto o quel braccio di mare che significava la salvezza. Su questo specifico problema, e sulle possibili soluzioni che l’Alto Commissariato ONU per i rifugiati potrebbe avanzare, ha imperniato il proprio intervento mons. Silvano Tomasi. I rifugiati stimati dall’ACNUR, ha ricordato, sono attualmente 32 milioni ma il fenomeno è in “crescita” e “da diversi anni” è accompagnato da un altro fenomeno: quello - ha osservato il presule - “dei terribili incidenti mortali occorsi nel tentativo di raggiungere un porto sicuro da parte di migliaia di persone costrette da circostanze disperate a cercare una via di scampo al di fuori del proprio Paese”. Tale fenomeno, ha aggiunto mons. Tomasi, “non è solo regionale. È presente nel Mediterraneo per la gente che prova a passare dall'Africa all’Europa; nell'Atlantico per chi attraversa l'Africa occidentale verso le Isole Canarie. Altre persone perdono la vita nel muoversi dall'Africa orientale verso la penisola araba; o dalle isole caraibiche al continente americano; dal Messico attraverso il deserto per approdare negli Stati Uniti; in alcune regioni dell'Asia”.
Mons. Tomasi ha invitato il Comitato esecutivo dell’ACNUR a verificare se vi sia “un vuoto normativo” per la protezione di queste vittime che - ha detto - "incontrano la morte nel tentativo di fuggire da altre forme certe di morte fisica o psicologica”. Dunque, è stata la sua proposta, l’ACNUR “potrebbe porre la questione di un coordinamento delle politiche a livello di Nazioni Unite”, stimolando l’avvio di “uno studio sistematico di come possa essere assicurata la protezione e provvedendo perfino a sviluppare una serie di ingranaggi specifici per garantirla”. Naturalmente, ha proseguito l’osservatore della Santa Sede, questo approccio positivo e preventivo al problema richiederebbe la garanzia di maggior sicurezza nei luoghi di origine del fenomeno, di rispetto dei diritti dell'uomo, di creazione di posti di lavoro e di un ambiente pacifico. Trasformazioni che tuttavia non possono verificarsi - ha rilevato mons. Tomasi – “senza il coinvolgimento della comunità internazionale” che organizzi al meglio i canali di migrazione e promuova al contempo eque politiche commerciali, agricole, finanziarie in rapporto ai Paesi più poveri.
Spostando poi l’attenzione sui rifugiati dell’area mediorientale, mons. Tomasi ha denunciato il “peggioramento” della loro situazione a causa della “pulizia etnica e religiosa" che colpisce le minoranze”. I cristiani in particolare, ha asserito, “devono confrontarsi con una nuova epoca di martirio”. E comunque, i mezzi necessari “per un’adeguata risposta alla sofferenza dei rifugiati iracheni” non sono ancora sufficientemente disponibili. A suggellare l’intervento del presule è stato il richiamo di Benedetto XVI per la Giornata mondiale del rifugiato di quest’anno: “Accogliere favorevolmente i rifugiati e offrire loro ospitalità è un dovere della solidarietà umana”.
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