Intervista fatta da Davide Nordio
Giornalista del settimanale Vita Non Profit
Domande per Mons. Silvano M. Tomasi
Eccellenza, prima di ricoprire l’incarico di Osservatore permanente della Santa Sede alla sede Onu di Ginevra, dal 1996 al 2003 è stato nunzio apostolico in Eritrea ed Etiopia. Qual’è stato il suo incontro con la tradizione cristiana etiope, una delle più antiche?
SMT
Nell’immaginario collettivo, l’Etiopia evoca figure misteriose di antichi re discendenti da Salomone e dalla Regina di Saba. Storia e leggenda si confondono nella lontananza dei secoli passati. Il fascino di questo Paese afferra di fatto anche il visitatore di oggi che si sente subito immerso in una realtà religiosa e sociale che sembra aver perso il senso del tempo. Quando arrivai in Etiopia nel 1996 il Paese era alle prese con la ricostruzione dopo la dittatura di Menghistu Hailemariam e alla ricerca di una convivenza pacifica tra le diverse etnie che formano la popolazione etiopica, la seconda piu’ numerosa dell’Africa dopo la Nigeria, attorno agli 80 milioni. Si pensi che 82 lingue e dialetti sono ancora in vigore in Etiopia e il processo di sviluppo di una democrazia moderna è necessariamente lento. Mi colpirono subito la grande dignità e serenità delle persone e la grande povertà. Soprattutto per me, a cui la dimensione religiosa era prioritaria, la grande religiosità della gente mi creo’ una sensazione di fiducia: la forza spirituale di questo popolo l’avrebbe aiutato a costruirsi un futuro migliore. Scoprii progressivamente le radici del cristianesimo etiopico, una fede incarnata nella cultura, completamente africana e cristiana allo stesso tempo. La prima moneta coniata nel mondo con il segno della croce fu stampata nell’antico regno di Axum, l’Etiopia. Ed è viva la tradizione tra la gente che quando la famiglia di Gesu’ ritorno’ in Palestina dopo l’esilio in Egitto passasse per l’Etiopia prima di attraversare il Mar Rosso. Fu allora che Gesu’ si sarebbe rivolto a Maria e dicesse che da allora l’Etiopia era suo feudo speciale per cui ancora adesso il nome comune anche di uomini è legato a questa racconto e si chiamano Kidanemarian, Gebremariam, ecc. Dalla menzione del battesmo del ministro della regina etiope Candace negli Atti degli Apostoli ad oggi la tradizione cristiana è rimasta viva in Etiopia e si esprime nel suo monachesimo, nelle chiese, icone, manoscritti illuminati, la croce rappresentata in tutte le sue forme, e nella capacità di convivere con le altre religioni, l’Islam in particolare.
Il 12 marzo a Venezia si inaugura la mostra “Nigra sum et formosa” dedicata alla bellezza dell’arte dell’Etiopia cristiana. Nonostante i rapporti intercorsi nel passato tra Italia ed Etiopia, per la prima volta nel nostro Paese si potrà conoscere di vicino questa straordinaria cultura. (Sostanzialmente Le chiedo di esprimere quali sono le opportunità date da questo evento). E’ significativo che si tenga a Venezia, città ponte tra Oriente e Occidente e da sempre luogo di incontro tra diverse culture?
SMT
Dall’Africa arriva sempre qualcosa di nuovo, dicevano gli antichi romani. Purtroppo le notizie che colpiscono e vengono riportate nei media a proposito dell’Africa sono disastrose: fame. guerre civili, pirateria, dittature oppressive. In realtà il paesaggio politico e umano del continente africano è molto diversificato. La mostra organizzata alla’università Ca’ Foscari di Venezia sull’arte sacra etiopica è un segno che occorre guardare all’Africa con occhi nuovi per saper vedere la sua creatività artistica, le sue bellezze naturali, il progresso raggiunto, la ricchezza della sua storia millenaria. Due altre ragioni hanno incoraggiato l’iniziativa. La memoria dell’infelice e miopico tentativo di colonizzazione italiana in Etiopia deve essere purificata, riconoscere l’ingiustizia perpetrata e prendere atto di comuni radici cristiane . Venezia poi ha avuto un rapporto abbastanza particolare con l’Etiopia. Per esempio il Doge invio’ laggiu’ delle reliquie della Croce, veneratissima nella Chiesa etiopica, e il pittore Brancaleone, che da Venezia ando’ stabilirsi in Etiopia alla fine del 1400, ne influenzo’ l’iconografia per secoli. La Serenissima puo’ giocare ancora il suo ruolo verso l’Oriente e il Mediterraneo, verso i quali gravita l’Etiopia, e stimolare un approccio piu’ efficace e costruttivo dell’Italia e dell’Europa verso l’Africa sub-sahariana in particolare. E questo non solo per lo sviluppo tecnologico ed economico, ma anche per rafforzare quei legami ideali che l’approfondimento dell’arte e degli studi etiopici comportano. E’ certamente stata un’idea indovinata dello sponsor, la banca Friuladria, del Comitato scientifico e della Ca’ Foscari di dare un segnale nuovo con questa ‘prima’ italiana a riguardo dell’Etiopia.
Che cosa rimane della tradizione cristiana etiope, soprattutto in riferimento al circostante mondo islamico? Non colpisce il divario tra il livello di civiltà raggiunto nei secoli scorsi e l’attuale povertà di questo Paese?
SMT
Il cristianesimo è in espansione in Africa. L’Etiopia e l’Egitto rappresentano la continuità dai tempi apostolici. Le seguenti ondate di evangelizzazione, specialmente nel secolo XIX, hanno dato un impulso in varie altre regioni africane dove ora la fede cristiana è maggioritaria. La Chiesa etiope, che ha un suo rito particolare molto suggestivo, una sua musica liturgica originale, dei legami che persistono con le tradizioni bibliche precristiane, in un certo modo ricorda la legittimità della presenza cristiana che ha preceduto di secoli l’arrivo dell’Islam nel continente. Il monastero di Debre Damos ha una presenza ininterrotta di monaci dal quinto secolo. Furono innumerevoli i tentativi di conquista dell’altopiano etiopico da parte dei musulmani che lo circondano. La fede cristiana e l’identità politica si sono unite per resistere. Oggi la convivenza tra cristiani maggioritari e la forte minoranza islamica sono normalmente molto buoni. Nella stessa famiglia si possono incontrare persone delle due fedi senza forzature che una accetti le convinzioni dell’altra, un esempio importantissimo di convivenza rispettosa. Certo, occorre anche dire che in passato la Chiesa Ortodossa Etiopica si era un po’ fossilizzata contribuendo cosi’ troppo poco al progresso economico del Paese, che ancora è marcato da una povertà molto evidente quando si percorrono le strade etiopiche e si visitano le migliaia di villaggi che campano di agricoltura di sopravvivenza. La mentalità tuttavia sta evolvendo e la Chiesa si sta impegnando di piu’ nell’educazione e nei servizi sociali.
Lei in qualità di nunzio ha potuto seguire da vicino la nascita dell’Unione Africana. Come sta procedendo questa realtà?
SMT
Bruxelles sta all’Unione Europea come Addis Abeba sta all’Unione Africana. I paesi africani hanno voluto scegliere la capitale etiopica come sede dell’Unione Africana perché hanno riconosciuto nell’Etiopia un paese che ha mantenuto la sua indipendenza e la sua identità contro ogni avversità, e con giusto orgoglio. L’Africa vuole coordinarsi per pesare di piu’ sullo scacchiere mondiale ed è interessante che l’Etiopia sia direttamente collegata alla sede dell’Unione Africana. Ho potuto firmare il primo accordo di cooperazione della Santa Sede con l’Unione Africana come gesto di amicizia e di appoggio ad un continente che spesso viene lasciato ai margini delle grandi decisioni internazionali. Il cammino dell’Unione è lento perche’ a mettere d’accordo 53 stati non è impresa facile e perché il peso del passato, della mancanza di infrastrutture, di ritardi nelle tecnologie delle comunicazioni, della mancanza di educazione, dello sfruttamento disordinato delle grandi risorse naturali del continente, e soprattutto di ancora troppi conflitti etnici, rallenta anche gli sforzi piu’ generosi. Nonostante le grandi difficoltà, l’Africa vuole risolvere i suoi problemi e l’Unione Africana ne è una via essenziale.
Nei prossimi giorni il Papa si recherà in Camerun e in Angola. Ad ottobre si terrà il Sinodo dei Vescovi sull’Africa. Quali sono gli elementi che emergeranno da questi due eventi?
SMT
Il messaggio di Papa Benedetto XVI e del Sinodo dei Vescovi, due eventi importanti che focalizzeranno l’attenzione del mondo sull’Africa, convergono nel loro obiettivo di ridare speranza al continente e di indicare vie di uscita dalle molte crisi e dai conflitti che mortificano una popolazione piena di vitalità. In Cameroon e in Angola il Papa, penso, metterà in luce i problemi che bloccano lo sviluppo come la corruzione, il tribalismo, le malattie come l’AIDS, ma soprattutto darà il suo sostegno alla missione della Chiesa chiamata a costruire pace e rapporti umani basati sulla fiducia e la collaborazione fraterna. Consegnerà ai Presidenti delle Conferenze Episcopali il documento di lavoro del Sinodo speciale per l’Africa in modo da sottolineare la connessione molto stretta tra le varie iniziative che di fatto si muovono sulla stessa traiettoria. Non mancherà certo un richiamo al ruolo chiave della donna e al dialogo inter-religioso, specialmente con l’Islam e le religioni animistiche. Si tratta di aprire un nuovo capitolo per il futuro dell’Africa, e la Chiesa vuole dare una mano con umiltà, ma anche con efficacia.
Da osservatore della Santa Sede all’Onu quale potrà essere il ruolo dell’Africa nel futuro panorama politico internazionale? Qualcuno ha visto nell’elezione a presidente Usa di Barack Obama, un “afro-americano” nel vero senso della parola viste le sue origini da parte di padre, una opportunità per questo grande continente.
SMT
E’ caduto il muro di Berlino, che ha cambiato la storia dell’Europa e non solo, e cadrà anche la barriera del razzismo. Il colore della pelle non determinerà il ruolo e il valore di una persona, ma la sua dignità inalienabile verrà riconosciuta senza ambiguità. Nel contesto internazionale delle Nazioni Unite , su questo campo certamente, c’è una convergenza di visione e di lavoro con la missione della Chiesa. Il continente ‘nero’ deve sedersi alla tavola della famiglia umana come gli altri continenti. Nei dibattiti a cui assisto all’ONU e negli Organismi Internazionali mi sembra che stia emergendo chiaramente l’esigenza che nelle istituzioni internazionali e nei meccanismi dove si prendono le grandi decisioni debbano partecipare anche i paesi poveri e in via di sviluppo. L’Africa dovrà essere aiutata a poter correre con le sue gambe, ad avere le risorse umane adeguate che la rappresentino, ne parlino il suo linguaggio, mettano in evidenza le sue vere esigenze. La nuova Presidenza americana, indipendentemente da posizioni politiche, è diventata un simbolo importante che ogni razza puo’ giustamente partecipare nella gestione della cosa pubblica. In questo senso, è promettente per il futuro dell’Africa, per un rinnovamento nel continente e per un ruolo sempre piu’ dinamico dell’Africa nel contesto internazionale.
Stemma Episcopale
giovedì 9 aprile 2009
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