Stemma Episcopale
mercoledì 29 aprile 2009
Ahmadinejad all’Onu: Israele razzista. E i delegati Ue abbandonano il vertice
Polemiche alla conferenza Durban II di Ginevra per gli attacchi del presidente iraniano. Ritirato l’ambasciatore israeliano in Svizzera, protesta di studenti vestiti da clown
Ahmadinejad all’Onu: Israele razzista. E i delegati Ue abbandonano il vertice
Agli Usa: “Importante apertura, aspettiamo segnali concreti”. Washington non chiude: “Ma questa retorica non aiuta”
ahmadinejad-durban-ii1GINEVRA, 20 Aprile 2009 - Si è aperta tra le polemiche e plateali contestazioni a Ginevra la conferenza dell’Onu sul razzismo e la xenofobia “Durban II”. Molti i governi che hanno deciso di disertare l’appuntamento per timore che si trasformi in un processo a Israele. Non ci sono gli Stati Uniti, l’Italia, la Germania, la Polonia, l’Australia, il Canada, l’Olanda, la Nuova Zelanda e Israele. E tutti i Paesi europei hanno abbandonato i lavori non appena il presidente iraniano ha cominciato a parlare, definendo Israele - pur non nominandolo direttamente - “un governo razzista”.
Il discorso. Sul podio della conferenza di Ginevra, Ahmadinejad ha criticato l’istituzione di “un governo razzista” in Medio Oriente dopo il 1945, alludendo chiaramente a Israele: “Dopo la fine della Seconda guerra mondiale - ha detto dal palco di Ginevra - gli alleati sono ricorsi all’aggressione militare per privare della terra un’intera nazione, sotto il pretesto della sofferenza degli ebrei. Hanno inviato immigrati dall’Europa, dagli Stati Uniti e dal mondo dell’Olocausto per stabilire un governo razzista nella Palestina occupata”.
Ahmadinejad ha ricevuto anche applausi dalla platea: la prima volta quando ha accusato “gli stati occidentali di essere rimasti in silenzio di fronte ai crimini commessi da israele a Gaza” e la seconda volta quando ha detto che occorre “rivedere le organizzazioni internazionali e il loro modo di lavorare”. Consensi al presidente iraniano sono arrivati anche quando ha parlato della crisi economica mondiale sottolineando che “continua ad aggravarsi e non ci sono speranze che possa essere superata”, e ha accusato gli Usa di averla scatenata.
La protesta. Alle parole di attacco del capo dello Stato iraniano i delegati dei paesi europei e occidentali hanno lasciato la sala. Dura condanna anche da parte del segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, che in un comunicato ha “deplorato” gli attacchi iraniani a Israele: “Deploro l’uso di questa piattaforma per accusare, dividere e persino istigare”, ha detto Ban: “Questo è il contrario di quel che questa conferenza si prefigge”. Ma dall’Onu è arrivata anche una “bacchettata” ai paesi che hanno disertato la conferenza: “La migliore replica a questo tipo di eventi è di rispondere e correggere, non di ritirarsi e boicottare la Conferenza”, ha dichiarato l’Alto commissario dell’Onu per i diritti umani Navi Pillay. “Il boicottaggio non è la migliore risposta”, ha aggiunto.
Tre manifestanti travestiti da clown, con parrucche multicolore, appartenenti all’Unione francese degli studenti ebrei sono stati espulsi dall’aula quando hanno iniziato a urlare “razzista” all’indirizzo del leader iraniano. Uno dei giovani che si trovava in platea è riuscito a lanciare il finto naso rosso di plastica all’indirizzo del presidente iraniano prima di essere trascinato via.
La Francia, a Ginevra rappresentata da un ambasciatore che, come gli esponenti degli altri Paesi europei presenti, aveva avvertito che avrebbe lasciato la sala nel caso in cui Ahmadinejad avesse pronunciato “accuse antisemite” nel suo discorso. E subito dopo il discorso il presidente francese Nicolas Sarkozy ha avvertito che la Ue dovrà adottare una “estrema fermezza” contro gli “appelli all’odio” come quello di Ahmadinejad. Dura reazione un po’ da tutti i rappresentanti Ue, tra cui la stessa Gran Bretagna che pure aveva deciso di partecipare alla Conferenza. Mentre l’Italia, che è stato il primo Paese europeo a sostenere la possibilità del boicottaggio, ha confermato: “La nostra previsione si è rivelata corretta”, ha detto il ministro degli Esteri Franco Frattini. “Ma siamo pronti a impegnarci da subito per un’altra occasione internazionale contro il razzismo e la discriminazione”.
Usa cauti. Gli Stati Uniti hanno mantenuto una posizione non intransigente: “Vogliamo un dialogo diretto con l’Iran ma l’Iran deve fare un certo numero di cose per rientrare nelle grazie della comunità internazionale”, ha detto il portavoce Robert Wood. “Se l’Iran vuole relazioni diverse con la comunità internazionale deve abbandonare questa terribile retorica, inutile, controproducente e serve solo a nutrire l’odio razziale”.
Il Vaticano rimane in aula. A sera è arrivata la presa di posizione della Santa Sede, che ha definito il discorso di Ahmadinejad “estremista e inaccettabile”, ma ha scelto di non unirsi alla protesta dei Paesi occidentali. Ahmadinejad “ha usato delle espressioni estremiste - ha detto a radio Vaticana l’osservatore permanente all’Onu della Santa Sede, monsignor Silvano Tomasi - con le quali non si può essere d’accordo in alcun modo; ma allo stesso tempo, nel dibattito che si svolge nel contesto della comunità internazionale ci sono opinioni qualche vota radicali che non possono essere condivise ma che è necessario ascoltare perché è questo l’ambiente e la natura delle Nazioni Unite: essere il forum nel quale tutte le nazioni si esprimono”. Il “punto affrontato dal presidente iraniano - ha spiegato mons. Tomasi - è quello del razzismo dello stato d’Israele verso i palestinesi, ma egli non si è espresso contro l’Olocausto, non ha negato questo fenomeno storico tragico, non ha menzionato la distruzione d’Israele o l’eliminazione di questo Stato. Per questa ragione abbiamo deciso con altri Paesi europei, tutti i Paesi dell’America Latina con la totalità dei Paesi africani e asiatici, di restare nella Sala per affermare questo diritto della libertà d’espressione che è parte della battaglia che noi abbiamo combattuto qui per cambiare il documento finale di questa conferenza di Durban II”.
L’irritazione di Israele. In questo clima, subito dopo l’inizio della conferenza, il governo israeliano ha richiamato per consultazioni il suo ambasciatore in Svizzera. Una decisione presa a seguito di un incontro tra il presidente elvetico Hans-Rudolf Merz e il leader iraniano Mahmoud Ahmadinejad. ”Non è una rottura delle relazioni, ma un’espressione del malcontento di Israele per l’atteggiamento lassista della Svizzera nei confronti dell’Iran”, ha spiegato un dirigente del ministero degli Esteri dello Stato ebraico. L’agenzia iraniana Fars ha riferito che durante il colloquio il presidente iraniano ha definito Israele “la più orribile manifestazione del razzismo” e ha sostenuto che la comunità internazionale usa “due pesi e due misure sui diritti umani e la violazione degli stessi negli Usa e in Europa”.
Nucleare e rapporti con gli Usa. Più tardi, nel corso della conferenza stampa, Ahmadinejad ha invece cambiato tono parlando dei rapporti con gli Stati Uniti di Barack Obama, dichiarando di “accogliere” il nuovo approccio dell’Amministrazione Usa nei confronti dell’Iran, cui il presidente democratico ha dichiarato di voler “tendere la mano” in un importante discorso alcune settimane fa. Un’apertura importante, ha detto, che va però accompagnata da “segnali concreti”. “Con tutta franchezza dico no all’arma nucleare, sì all’energia nucleare”, ha poi precisato il presidente iraniano sulla controversa questione dell’armamento nucleare iraniano. Per l’Iran “la questione del nucleare è un dossier chiuso… Noi abbiamo firmato la convenzione dell’Aja e intendiamo ricavarne dei vantaggi”. Per Ahamadinejad la “giustizia deve essere uguale per tutti: se l’energia nucleare è utilizzata bene che sia a disposizione di tutti, quando è cattiva che sia proibita a tutti”.
L’intervento di Ban Ki-moon. Delle tensioni che accompagnano il vertice Ban è pienamente consapevole, tanto che prima di dare il via ai lavori ha condannato “la negazione dell’Olocausto”. Poi, nel discorso con cui ha aperto i lavori, ha difeso la contestata dichiarazione finale come un testo “attentamente bilanciato”. “Sono profondamente dispiaciuto che alcuni Paesi abbiano deciso di rimanerne fuori - ha detto Ban - E spero che non lo faranno a lungo. Possiamo superare le divergenze. Rivolgo un appello a tutti i Paesi a considerare questo processo come un inizio e non una fine”.
La posizione della Ue. La portavoce della Commissione europea Christiane Hohmann ha chiarito che l’esecutivo comunitario segue da vicino la conferenza dell’Onu e che il testo del documento “non è ideale ma è frutto di un compromesso”. La Commissione intende comunque “reagire in modo appropriato” a eventuali “dichiarazioni inaccettabili”. Dopo aver ricordato che “molti Stati membri hanno deciso di ritirarsi dalla conferenza. Ma una grande maggioranza - 23 su 27 - sono ancora impegnati nella conferenza”, la portavoce ha sottolineato come Bruxelles ritenga di poter trarre qualcosa dalla conferenza e rimanga “impegnata a fare tutto il possibile”.
Repubblica.it
GINEVRA, 20 Aprile 2009 - Si è aperta tra le polemiche e plateali contestazioni a Ginevra la conferenza dell’Onu sul razzismo e la xenofobia “Durban II”. Molti i governi che hanno deciso di disertare l’appuntamento per timore che si trasformi in un processo a Israele. Non ci sono gli Stati Uniti, l’Italia, la Germania, la Polonia, l’Australia, il Canada, l’Olanda, la Nuova Zelanda e Israele. E tutti i Paesi europei hanno abbandonato i lavori non appena il presidente iraniano ha cominciato a parlare, definendo Israele - pur non nominandolo direttamente - “un governo razzista”.
(Nella foto: il momento in cui i delegati dell’UE si sono alzati durante l’intervento del razzista antisemita Mahmoud Ahmadinejad)
Mons. Silvano Tomasi al Comitato esecutivo dell'ACNUR: aumentare il livello di sicurezza dei profughi che chiedono asilo, soprattutto in Medio Oriente
L’Alto Commissariato ONU per i rifugiati (ACNUR) proponga alle Nazioni Unite un maggior coordinamento delle politiche riguardanti i flussi migratori, per arginare il dramma delle migliaia di persone che muoiono nel tentativo di ricostruirsi una vita lontano dalle tragedie dei propri Paesi, in particolare i profughi dal Medio Oriente. La sollecitazione è venuta dall’arcivescovo Silvano Tomasi, osservatore permanente della Santa Sede all’ONU di Ginevra, intervenuto nei giorni scorsi durante la riunione del Comitato esecutivo dell’ACNUR. Il servizio di Alessandro De Carolis:
Nel dramma mondiale che riguarda il quotidiano approdo di immigrati in nazioni considerate un mezzo per riapproriarsi di un futuro, altrimenti impossibile nei Paesi di provenienza, c’è un aspetto ricorrente e tragico che passa sovente in secondo piano: quello della morte che moltissimi sfollati trovano nel tentativo di rifarsi una vita. Le questioni giuridiche e il regolamento dei flussi di chi chiede asilo prendono il sopravvento sulla sorte di chi non è riuscito ad attraversare quel lembo di deserto o quel braccio di mare che significava la salvezza. Su questo specifico problema, e sulle possibili soluzioni che l’Alto Commissariato ONU per i rifugiati potrebbe avanzare, ha imperniato il proprio intervento mons. Silvano Tomasi. I rifugiati stimati dall’ACNUR, ha ricordato, sono attualmente 32 milioni ma il fenomeno è in “crescita” e “da diversi anni” è accompagnato da un altro fenomeno: quello - ha osservato il presule - “dei terribili incidenti mortali occorsi nel tentativo di raggiungere un porto sicuro da parte di migliaia di persone costrette da circostanze disperate a cercare una via di scampo al di fuori del proprio Paese”. Tale fenomeno, ha aggiunto mons. Tomasi, “non è solo regionale. È presente nel Mediterraneo per la gente che prova a passare dall'Africa all’Europa; nell'Atlantico per chi attraversa l'Africa occidentale verso le Isole Canarie. Altre persone perdono la vita nel muoversi dall'Africa orientale verso la penisola araba; o dalle isole caraibiche al continente americano; dal Messico attraverso il deserto per approdare negli Stati Uniti; in alcune regioni dell'Asia”.
Mons. Tomasi ha invitato il Comitato esecutivo dell’ACNUR a verificare se vi sia “un vuoto normativo” per la protezione di queste vittime che - ha detto - "incontrano la morte nel tentativo di fuggire da altre forme certe di morte fisica o psicologica”. Dunque, è stata la sua proposta, l’ACNUR “potrebbe porre la questione di un coordinamento delle politiche a livello di Nazioni Unite”, stimolando l’avvio di “uno studio sistematico di come possa essere assicurata la protezione e provvedendo perfino a sviluppare una serie di ingranaggi specifici per garantirla”. Naturalmente, ha proseguito l’osservatore della Santa Sede, questo approccio positivo e preventivo al problema richiederebbe la garanzia di maggior sicurezza nei luoghi di origine del fenomeno, di rispetto dei diritti dell'uomo, di creazione di posti di lavoro e di un ambiente pacifico. Trasformazioni che tuttavia non possono verificarsi - ha rilevato mons. Tomasi – “senza il coinvolgimento della comunità internazionale” che organizzi al meglio i canali di migrazione e promuova al contempo eque politiche commerciali, agricole, finanziarie in rapporto ai Paesi più poveri.
Spostando poi l’attenzione sui rifugiati dell’area mediorientale, mons. Tomasi ha denunciato il “peggioramento” della loro situazione a causa della “pulizia etnica e religiosa" che colpisce le minoranze”. I cristiani in particolare, ha asserito, “devono confrontarsi con una nuova epoca di martirio”. E comunque, i mezzi necessari “per un’adeguata risposta alla sofferenza dei rifugiati iracheni” non sono ancora sufficientemente disponibili. A suggellare l’intervento del presule è stato il richiamo di Benedetto XVI per la Giornata mondiale del rifugiato di quest’anno: “Accogliere favorevolmente i rifugiati e offrire loro ospitalità è un dovere della solidarietà umana”.
Nel dramma mondiale che riguarda il quotidiano approdo di immigrati in nazioni considerate un mezzo per riapproriarsi di un futuro, altrimenti impossibile nei Paesi di provenienza, c’è un aspetto ricorrente e tragico che passa sovente in secondo piano: quello della morte che moltissimi sfollati trovano nel tentativo di rifarsi una vita. Le questioni giuridiche e il regolamento dei flussi di chi chiede asilo prendono il sopravvento sulla sorte di chi non è riuscito ad attraversare quel lembo di deserto o quel braccio di mare che significava la salvezza. Su questo specifico problema, e sulle possibili soluzioni che l’Alto Commissariato ONU per i rifugiati potrebbe avanzare, ha imperniato il proprio intervento mons. Silvano Tomasi. I rifugiati stimati dall’ACNUR, ha ricordato, sono attualmente 32 milioni ma il fenomeno è in “crescita” e “da diversi anni” è accompagnato da un altro fenomeno: quello - ha osservato il presule - “dei terribili incidenti mortali occorsi nel tentativo di raggiungere un porto sicuro da parte di migliaia di persone costrette da circostanze disperate a cercare una via di scampo al di fuori del proprio Paese”. Tale fenomeno, ha aggiunto mons. Tomasi, “non è solo regionale. È presente nel Mediterraneo per la gente che prova a passare dall'Africa all’Europa; nell'Atlantico per chi attraversa l'Africa occidentale verso le Isole Canarie. Altre persone perdono la vita nel muoversi dall'Africa orientale verso la penisola araba; o dalle isole caraibiche al continente americano; dal Messico attraverso il deserto per approdare negli Stati Uniti; in alcune regioni dell'Asia”.
Mons. Tomasi ha invitato il Comitato esecutivo dell’ACNUR a verificare se vi sia “un vuoto normativo” per la protezione di queste vittime che - ha detto - "incontrano la morte nel tentativo di fuggire da altre forme certe di morte fisica o psicologica”. Dunque, è stata la sua proposta, l’ACNUR “potrebbe porre la questione di un coordinamento delle politiche a livello di Nazioni Unite”, stimolando l’avvio di “uno studio sistematico di come possa essere assicurata la protezione e provvedendo perfino a sviluppare una serie di ingranaggi specifici per garantirla”. Naturalmente, ha proseguito l’osservatore della Santa Sede, questo approccio positivo e preventivo al problema richiederebbe la garanzia di maggior sicurezza nei luoghi di origine del fenomeno, di rispetto dei diritti dell'uomo, di creazione di posti di lavoro e di un ambiente pacifico. Trasformazioni che tuttavia non possono verificarsi - ha rilevato mons. Tomasi – “senza il coinvolgimento della comunità internazionale” che organizzi al meglio i canali di migrazione e promuova al contempo eque politiche commerciali, agricole, finanziarie in rapporto ai Paesi più poveri.
Spostando poi l’attenzione sui rifugiati dell’area mediorientale, mons. Tomasi ha denunciato il “peggioramento” della loro situazione a causa della “pulizia etnica e religiosa" che colpisce le minoranze”. I cristiani in particolare, ha asserito, “devono confrontarsi con una nuova epoca di martirio”. E comunque, i mezzi necessari “per un’adeguata risposta alla sofferenza dei rifugiati iracheni” non sono ancora sufficientemente disponibili. A suggellare l’intervento del presule è stato il richiamo di Benedetto XVI per la Giornata mondiale del rifugiato di quest’anno: “Accogliere favorevolmente i rifugiati e offrire loro ospitalità è un dovere della solidarietà umana”.
Onu/Razzismo: Mons.Tomasi, Durban Ii Passo Avanti Contro Discriminazioni
(ASCA) - Citta' del Vaticano, 22 apr - La dichiarazione approvata, con largo anticipo e per acclamazione dalla conferenza Onu di Ginevra sul razzismo, nota come 'Durban II' e' ''un passo avanti nella lotta al razzismo, la ragione per cui molti paesi sono rimasti e hanno unito gli sforzi per un risultato che rispondesse alla necessita' di eliminare vecchie e nuove manifestazioni di razzismo''. Lo ha detto mons. Silvano Tomasi, osservatore permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite di Ginevra, nella dichiarazione conclusiva presentata al summit Onu. Il diplomatico vaticano aggiunge tuttavia che, ''sfortunatamente'', alla Conferenza sono state presentate ''posizioni politiche estremiste e offensive che la Santa Sede deplora e rigetta: queste non contribuiscono al dialogo, provocano conflitti inaccettabili e non possono mai essere accettate o condivise''.
giovedì 23 aprile 2009
conferenza internazionale di Ginevra sul razzismo indetta dall’Onu
Mossa a sorpresa alla conferenza internazionale di Ginevra sul razzismo indetta dall’Onu. La cosiddetta “Durban 2”, anticipando i tempi previsti, ha emanato ieri, anziché venerdì prossimo, il documento finale approvato per acclamazione. Una sorta di risposta immediata all’intervento del leader iraniano Ahmadinejad, che aveva accusato apertamente Israele di razzismo. Il servizio di Giovanni Del Re:
E una nuova nota della Sala Stampa vaticana torna sulle dichiarazioni di Ahmadinejad. Si deplora – afferma la nota – l’utilizzazione del forum per assumere posizioni politiche estremiste e offensive contro qualsiasi Stato. Ciò non contribuisce al dialogo e provoca una conflittualità inaccettabile. Si ricorda, infine, l’auspicio del Papa, formulato domenica scorsa, affinché venga valorizzato lo spirito di accoglienza reciproca, per mettere fine ad ogni forma di razzismo, discriminazione e intolleranza.
E sui motivi che hanno portato l’assemblea a votare anticipatamente il documento finale, Francesca Sabatinelli ha intervistato l’osservatore permanente della Santa Sede all'Ufficio delle Nazioni Unite a Ginevra, mons. Silvano Maria Tomasi.
http://www.oecumene.radiovaticana.org/it1/Articolo.asp?c=281811
E una nuova nota della Sala Stampa vaticana torna sulle dichiarazioni di Ahmadinejad. Si deplora – afferma la nota – l’utilizzazione del forum per assumere posizioni politiche estremiste e offensive contro qualsiasi Stato. Ciò non contribuisce al dialogo e provoca una conflittualità inaccettabile. Si ricorda, infine, l’auspicio del Papa, formulato domenica scorsa, affinché venga valorizzato lo spirito di accoglienza reciproca, per mettere fine ad ogni forma di razzismo, discriminazione e intolleranza.
E sui motivi che hanno portato l’assemblea a votare anticipatamente il documento finale, Francesca Sabatinelli ha intervistato l’osservatore permanente della Santa Sede all'Ufficio delle Nazioni Unite a Ginevra, mons. Silvano Maria Tomasi.
http://www.oecumene.radiovaticana.org/it1/Articolo.asp?c=281811
EDUCAZIONE INTEGRALE DI FRONTE RAZZISMO E INTOLLERANZA
CITTA' DEL VATICANO, 23 APR. 2009 (VIS). L'Arcivescovo Silvano Tomasi, C.S., Osservatore Permanente della Santa Sede presso l'Ufficio delle Nazioni Unite ed Istituzioni Specializzate a Ginevra, è intervenuto, ieri, alla Conferenza di riesamina della Dichiarazione di Durban 2001, "Durban Review Conference".
"Gli stranieri" - ha affermato l'Arcivescovo Tomasi - "e coloro che sono diversi sono spesso rifiutati al punto da commettere atti barbari contro di essi, incluso genocidio e pulizia etnica. Antiche forme di sfruttamento cedono il passo a nuove; donne e bambini sono vittime del traffico di esseri umani in una forma contemporanea di schiavitù, si abusa degli immigrati irregolari, persone percepite diverse e che di fatto sono diverse diventano, in numero spropositato, vittime dell'emarginazione sociale e politica".
"La Santa Sede" - ha proseguito l'Arcivescovo Tomasi - "è preoccupata dalla tentazione ancora latente dell'eugenetica" che potrebbe portare "all'eliminazione di esseri umani che non corrispondono alle caratteristiche predeterminate di una data società".
L'Osservatore Permanente ha sottolineato che "occorre rivedere alcuni sistemi educativi così che ogni aspetto di discriminazione sia eliminato dall'insegnamento, dai libri di testo, dai curriculum e dagli strumenti visivi. (...) I mezzi di comunicazione, perciò, devono essere accessibili e non soggetti a controlli di tipo razzista ed ideologico, perché ciò conduce alla discriminazione ed anche alla violenza contro le persone di diversa cultura ed etnia".
L'Arcivescovo Tomasi ha quindi fatto riferimento alla necessità della "piena realizzazione della libertà religiosa per gli individui e il loro collettivo esercizio di questo diritto umano fondamentale".
Di fronte alle sfide attuali, sono necessari, ha concluso l'Osservatore Permanente, "strategie più efficaci nella lotta contro il razzismo, la discriminazione razziale, la xenofobia e la derivante intolleranza. (...) Il primo passo verso una soluzione di carattere pratico, è una educazione integrale che includa valori etici e spirituali che favoriscano il rafforzamento di gruppi vulnerabili come i rifugiati, i migranti e le persone in movimento, le minoranze razziali e culturali, le persone prigioniere di povertà estrema, malati e disabili, ragazze e donne ancora considerate inferiori in alcune società dove un'irrazionale paura delle diversità impedisce una piena partecipazione alla vita sociale".
"Gli stranieri" - ha affermato l'Arcivescovo Tomasi - "e coloro che sono diversi sono spesso rifiutati al punto da commettere atti barbari contro di essi, incluso genocidio e pulizia etnica. Antiche forme di sfruttamento cedono il passo a nuove; donne e bambini sono vittime del traffico di esseri umani in una forma contemporanea di schiavitù, si abusa degli immigrati irregolari, persone percepite diverse e che di fatto sono diverse diventano, in numero spropositato, vittime dell'emarginazione sociale e politica".
"La Santa Sede" - ha proseguito l'Arcivescovo Tomasi - "è preoccupata dalla tentazione ancora latente dell'eugenetica" che potrebbe portare "all'eliminazione di esseri umani che non corrispondono alle caratteristiche predeterminate di una data società".
L'Osservatore Permanente ha sottolineato che "occorre rivedere alcuni sistemi educativi così che ogni aspetto di discriminazione sia eliminato dall'insegnamento, dai libri di testo, dai curriculum e dagli strumenti visivi. (...) I mezzi di comunicazione, perciò, devono essere accessibili e non soggetti a controlli di tipo razzista ed ideologico, perché ciò conduce alla discriminazione ed anche alla violenza contro le persone di diversa cultura ed etnia".
L'Arcivescovo Tomasi ha quindi fatto riferimento alla necessità della "piena realizzazione della libertà religiosa per gli individui e il loro collettivo esercizio di questo diritto umano fondamentale".
Di fronte alle sfide attuali, sono necessari, ha concluso l'Osservatore Permanente, "strategie più efficaci nella lotta contro il razzismo, la discriminazione razziale, la xenofobia e la derivante intolleranza. (...) Il primo passo verso una soluzione di carattere pratico, è una educazione integrale che includa valori etici e spirituali che favoriscano il rafforzamento di gruppi vulnerabili come i rifugiati, i migranti e le persone in movimento, le minoranze razziali e culturali, le persone prigioniere di povertà estrema, malati e disabili, ragazze e donne ancora considerate inferiori in alcune società dove un'irrazionale paura delle diversità impedisce una piena partecipazione alla vita sociale".
giovedì 9 aprile 2009
Domande per Mons. Silvano M. Tomasi
Intervista fatta da Davide Nordio
Giornalista del settimanale Vita Non Profit
Domande per Mons. Silvano M. Tomasi
Eccellenza, prima di ricoprire l’incarico di Osservatore permanente della Santa Sede alla sede Onu di Ginevra, dal 1996 al 2003 è stato nunzio apostolico in Eritrea ed Etiopia. Qual’è stato il suo incontro con la tradizione cristiana etiope, una delle più antiche?
SMT
Nell’immaginario collettivo, l’Etiopia evoca figure misteriose di antichi re discendenti da Salomone e dalla Regina di Saba. Storia e leggenda si confondono nella lontananza dei secoli passati. Il fascino di questo Paese afferra di fatto anche il visitatore di oggi che si sente subito immerso in una realtà religiosa e sociale che sembra aver perso il senso del tempo. Quando arrivai in Etiopia nel 1996 il Paese era alle prese con la ricostruzione dopo la dittatura di Menghistu Hailemariam e alla ricerca di una convivenza pacifica tra le diverse etnie che formano la popolazione etiopica, la seconda piu’ numerosa dell’Africa dopo la Nigeria, attorno agli 80 milioni. Si pensi che 82 lingue e dialetti sono ancora in vigore in Etiopia e il processo di sviluppo di una democrazia moderna è necessariamente lento. Mi colpirono subito la grande dignità e serenità delle persone e la grande povertà. Soprattutto per me, a cui la dimensione religiosa era prioritaria, la grande religiosità della gente mi creo’ una sensazione di fiducia: la forza spirituale di questo popolo l’avrebbe aiutato a costruirsi un futuro migliore. Scoprii progressivamente le radici del cristianesimo etiopico, una fede incarnata nella cultura, completamente africana e cristiana allo stesso tempo. La prima moneta coniata nel mondo con il segno della croce fu stampata nell’antico regno di Axum, l’Etiopia. Ed è viva la tradizione tra la gente che quando la famiglia di Gesu’ ritorno’ in Palestina dopo l’esilio in Egitto passasse per l’Etiopia prima di attraversare il Mar Rosso. Fu allora che Gesu’ si sarebbe rivolto a Maria e dicesse che da allora l’Etiopia era suo feudo speciale per cui ancora adesso il nome comune anche di uomini è legato a questa racconto e si chiamano Kidanemarian, Gebremariam, ecc. Dalla menzione del battesmo del ministro della regina etiope Candace negli Atti degli Apostoli ad oggi la tradizione cristiana è rimasta viva in Etiopia e si esprime nel suo monachesimo, nelle chiese, icone, manoscritti illuminati, la croce rappresentata in tutte le sue forme, e nella capacità di convivere con le altre religioni, l’Islam in particolare.
Il 12 marzo a Venezia si inaugura la mostra “Nigra sum et formosa” dedicata alla bellezza dell’arte dell’Etiopia cristiana. Nonostante i rapporti intercorsi nel passato tra Italia ed Etiopia, per la prima volta nel nostro Paese si potrà conoscere di vicino questa straordinaria cultura. (Sostanzialmente Le chiedo di esprimere quali sono le opportunità date da questo evento). E’ significativo che si tenga a Venezia, città ponte tra Oriente e Occidente e da sempre luogo di incontro tra diverse culture?
SMT
Dall’Africa arriva sempre qualcosa di nuovo, dicevano gli antichi romani. Purtroppo le notizie che colpiscono e vengono riportate nei media a proposito dell’Africa sono disastrose: fame. guerre civili, pirateria, dittature oppressive. In realtà il paesaggio politico e umano del continente africano è molto diversificato. La mostra organizzata alla’università Ca’ Foscari di Venezia sull’arte sacra etiopica è un segno che occorre guardare all’Africa con occhi nuovi per saper vedere la sua creatività artistica, le sue bellezze naturali, il progresso raggiunto, la ricchezza della sua storia millenaria. Due altre ragioni hanno incoraggiato l’iniziativa. La memoria dell’infelice e miopico tentativo di colonizzazione italiana in Etiopia deve essere purificata, riconoscere l’ingiustizia perpetrata e prendere atto di comuni radici cristiane . Venezia poi ha avuto un rapporto abbastanza particolare con l’Etiopia. Per esempio il Doge invio’ laggiu’ delle reliquie della Croce, veneratissima nella Chiesa etiopica, e il pittore Brancaleone, che da Venezia ando’ stabilirsi in Etiopia alla fine del 1400, ne influenzo’ l’iconografia per secoli. La Serenissima puo’ giocare ancora il suo ruolo verso l’Oriente e il Mediterraneo, verso i quali gravita l’Etiopia, e stimolare un approccio piu’ efficace e costruttivo dell’Italia e dell’Europa verso l’Africa sub-sahariana in particolare. E questo non solo per lo sviluppo tecnologico ed economico, ma anche per rafforzare quei legami ideali che l’approfondimento dell’arte e degli studi etiopici comportano. E’ certamente stata un’idea indovinata dello sponsor, la banca Friuladria, del Comitato scientifico e della Ca’ Foscari di dare un segnale nuovo con questa ‘prima’ italiana a riguardo dell’Etiopia.
Che cosa rimane della tradizione cristiana etiope, soprattutto in riferimento al circostante mondo islamico? Non colpisce il divario tra il livello di civiltà raggiunto nei secoli scorsi e l’attuale povertà di questo Paese?
SMT
Il cristianesimo è in espansione in Africa. L’Etiopia e l’Egitto rappresentano la continuità dai tempi apostolici. Le seguenti ondate di evangelizzazione, specialmente nel secolo XIX, hanno dato un impulso in varie altre regioni africane dove ora la fede cristiana è maggioritaria. La Chiesa etiope, che ha un suo rito particolare molto suggestivo, una sua musica liturgica originale, dei legami che persistono con le tradizioni bibliche precristiane, in un certo modo ricorda la legittimità della presenza cristiana che ha preceduto di secoli l’arrivo dell’Islam nel continente. Il monastero di Debre Damos ha una presenza ininterrotta di monaci dal quinto secolo. Furono innumerevoli i tentativi di conquista dell’altopiano etiopico da parte dei musulmani che lo circondano. La fede cristiana e l’identità politica si sono unite per resistere. Oggi la convivenza tra cristiani maggioritari e la forte minoranza islamica sono normalmente molto buoni. Nella stessa famiglia si possono incontrare persone delle due fedi senza forzature che una accetti le convinzioni dell’altra, un esempio importantissimo di convivenza rispettosa. Certo, occorre anche dire che in passato la Chiesa Ortodossa Etiopica si era un po’ fossilizzata contribuendo cosi’ troppo poco al progresso economico del Paese, che ancora è marcato da una povertà molto evidente quando si percorrono le strade etiopiche e si visitano le migliaia di villaggi che campano di agricoltura di sopravvivenza. La mentalità tuttavia sta evolvendo e la Chiesa si sta impegnando di piu’ nell’educazione e nei servizi sociali.
Lei in qualità di nunzio ha potuto seguire da vicino la nascita dell’Unione Africana. Come sta procedendo questa realtà?
SMT
Bruxelles sta all’Unione Europea come Addis Abeba sta all’Unione Africana. I paesi africani hanno voluto scegliere la capitale etiopica come sede dell’Unione Africana perché hanno riconosciuto nell’Etiopia un paese che ha mantenuto la sua indipendenza e la sua identità contro ogni avversità, e con giusto orgoglio. L’Africa vuole coordinarsi per pesare di piu’ sullo scacchiere mondiale ed è interessante che l’Etiopia sia direttamente collegata alla sede dell’Unione Africana. Ho potuto firmare il primo accordo di cooperazione della Santa Sede con l’Unione Africana come gesto di amicizia e di appoggio ad un continente che spesso viene lasciato ai margini delle grandi decisioni internazionali. Il cammino dell’Unione è lento perche’ a mettere d’accordo 53 stati non è impresa facile e perché il peso del passato, della mancanza di infrastrutture, di ritardi nelle tecnologie delle comunicazioni, della mancanza di educazione, dello sfruttamento disordinato delle grandi risorse naturali del continente, e soprattutto di ancora troppi conflitti etnici, rallenta anche gli sforzi piu’ generosi. Nonostante le grandi difficoltà, l’Africa vuole risolvere i suoi problemi e l’Unione Africana ne è una via essenziale.
Nei prossimi giorni il Papa si recherà in Camerun e in Angola. Ad ottobre si terrà il Sinodo dei Vescovi sull’Africa. Quali sono gli elementi che emergeranno da questi due eventi?
SMT
Il messaggio di Papa Benedetto XVI e del Sinodo dei Vescovi, due eventi importanti che focalizzeranno l’attenzione del mondo sull’Africa, convergono nel loro obiettivo di ridare speranza al continente e di indicare vie di uscita dalle molte crisi e dai conflitti che mortificano una popolazione piena di vitalità. In Cameroon e in Angola il Papa, penso, metterà in luce i problemi che bloccano lo sviluppo come la corruzione, il tribalismo, le malattie come l’AIDS, ma soprattutto darà il suo sostegno alla missione della Chiesa chiamata a costruire pace e rapporti umani basati sulla fiducia e la collaborazione fraterna. Consegnerà ai Presidenti delle Conferenze Episcopali il documento di lavoro del Sinodo speciale per l’Africa in modo da sottolineare la connessione molto stretta tra le varie iniziative che di fatto si muovono sulla stessa traiettoria. Non mancherà certo un richiamo al ruolo chiave della donna e al dialogo inter-religioso, specialmente con l’Islam e le religioni animistiche. Si tratta di aprire un nuovo capitolo per il futuro dell’Africa, e la Chiesa vuole dare una mano con umiltà, ma anche con efficacia.
Da osservatore della Santa Sede all’Onu quale potrà essere il ruolo dell’Africa nel futuro panorama politico internazionale? Qualcuno ha visto nell’elezione a presidente Usa di Barack Obama, un “afro-americano” nel vero senso della parola viste le sue origini da parte di padre, una opportunità per questo grande continente.
SMT
E’ caduto il muro di Berlino, che ha cambiato la storia dell’Europa e non solo, e cadrà anche la barriera del razzismo. Il colore della pelle non determinerà il ruolo e il valore di una persona, ma la sua dignità inalienabile verrà riconosciuta senza ambiguità. Nel contesto internazionale delle Nazioni Unite , su questo campo certamente, c’è una convergenza di visione e di lavoro con la missione della Chiesa. Il continente ‘nero’ deve sedersi alla tavola della famiglia umana come gli altri continenti. Nei dibattiti a cui assisto all’ONU e negli Organismi Internazionali mi sembra che stia emergendo chiaramente l’esigenza che nelle istituzioni internazionali e nei meccanismi dove si prendono le grandi decisioni debbano partecipare anche i paesi poveri e in via di sviluppo. L’Africa dovrà essere aiutata a poter correre con le sue gambe, ad avere le risorse umane adeguate che la rappresentino, ne parlino il suo linguaggio, mettano in evidenza le sue vere esigenze. La nuova Presidenza americana, indipendentemente da posizioni politiche, è diventata un simbolo importante che ogni razza puo’ giustamente partecipare nella gestione della cosa pubblica. In questo senso, è promettente per il futuro dell’Africa, per un rinnovamento nel continente e per un ruolo sempre piu’ dinamico dell’Africa nel contesto internazionale.
Giornalista del settimanale Vita Non Profit
Domande per Mons. Silvano M. Tomasi
Eccellenza, prima di ricoprire l’incarico di Osservatore permanente della Santa Sede alla sede Onu di Ginevra, dal 1996 al 2003 è stato nunzio apostolico in Eritrea ed Etiopia. Qual’è stato il suo incontro con la tradizione cristiana etiope, una delle più antiche?
SMT
Nell’immaginario collettivo, l’Etiopia evoca figure misteriose di antichi re discendenti da Salomone e dalla Regina di Saba. Storia e leggenda si confondono nella lontananza dei secoli passati. Il fascino di questo Paese afferra di fatto anche il visitatore di oggi che si sente subito immerso in una realtà religiosa e sociale che sembra aver perso il senso del tempo. Quando arrivai in Etiopia nel 1996 il Paese era alle prese con la ricostruzione dopo la dittatura di Menghistu Hailemariam e alla ricerca di una convivenza pacifica tra le diverse etnie che formano la popolazione etiopica, la seconda piu’ numerosa dell’Africa dopo la Nigeria, attorno agli 80 milioni. Si pensi che 82 lingue e dialetti sono ancora in vigore in Etiopia e il processo di sviluppo di una democrazia moderna è necessariamente lento. Mi colpirono subito la grande dignità e serenità delle persone e la grande povertà. Soprattutto per me, a cui la dimensione religiosa era prioritaria, la grande religiosità della gente mi creo’ una sensazione di fiducia: la forza spirituale di questo popolo l’avrebbe aiutato a costruirsi un futuro migliore. Scoprii progressivamente le radici del cristianesimo etiopico, una fede incarnata nella cultura, completamente africana e cristiana allo stesso tempo. La prima moneta coniata nel mondo con il segno della croce fu stampata nell’antico regno di Axum, l’Etiopia. Ed è viva la tradizione tra la gente che quando la famiglia di Gesu’ ritorno’ in Palestina dopo l’esilio in Egitto passasse per l’Etiopia prima di attraversare il Mar Rosso. Fu allora che Gesu’ si sarebbe rivolto a Maria e dicesse che da allora l’Etiopia era suo feudo speciale per cui ancora adesso il nome comune anche di uomini è legato a questa racconto e si chiamano Kidanemarian, Gebremariam, ecc. Dalla menzione del battesmo del ministro della regina etiope Candace negli Atti degli Apostoli ad oggi la tradizione cristiana è rimasta viva in Etiopia e si esprime nel suo monachesimo, nelle chiese, icone, manoscritti illuminati, la croce rappresentata in tutte le sue forme, e nella capacità di convivere con le altre religioni, l’Islam in particolare.
Il 12 marzo a Venezia si inaugura la mostra “Nigra sum et formosa” dedicata alla bellezza dell’arte dell’Etiopia cristiana. Nonostante i rapporti intercorsi nel passato tra Italia ed Etiopia, per la prima volta nel nostro Paese si potrà conoscere di vicino questa straordinaria cultura. (Sostanzialmente Le chiedo di esprimere quali sono le opportunità date da questo evento). E’ significativo che si tenga a Venezia, città ponte tra Oriente e Occidente e da sempre luogo di incontro tra diverse culture?
SMT
Dall’Africa arriva sempre qualcosa di nuovo, dicevano gli antichi romani. Purtroppo le notizie che colpiscono e vengono riportate nei media a proposito dell’Africa sono disastrose: fame. guerre civili, pirateria, dittature oppressive. In realtà il paesaggio politico e umano del continente africano è molto diversificato. La mostra organizzata alla’università Ca’ Foscari di Venezia sull’arte sacra etiopica è un segno che occorre guardare all’Africa con occhi nuovi per saper vedere la sua creatività artistica, le sue bellezze naturali, il progresso raggiunto, la ricchezza della sua storia millenaria. Due altre ragioni hanno incoraggiato l’iniziativa. La memoria dell’infelice e miopico tentativo di colonizzazione italiana in Etiopia deve essere purificata, riconoscere l’ingiustizia perpetrata e prendere atto di comuni radici cristiane . Venezia poi ha avuto un rapporto abbastanza particolare con l’Etiopia. Per esempio il Doge invio’ laggiu’ delle reliquie della Croce, veneratissima nella Chiesa etiopica, e il pittore Brancaleone, che da Venezia ando’ stabilirsi in Etiopia alla fine del 1400, ne influenzo’ l’iconografia per secoli. La Serenissima puo’ giocare ancora il suo ruolo verso l’Oriente e il Mediterraneo, verso i quali gravita l’Etiopia, e stimolare un approccio piu’ efficace e costruttivo dell’Italia e dell’Europa verso l’Africa sub-sahariana in particolare. E questo non solo per lo sviluppo tecnologico ed economico, ma anche per rafforzare quei legami ideali che l’approfondimento dell’arte e degli studi etiopici comportano. E’ certamente stata un’idea indovinata dello sponsor, la banca Friuladria, del Comitato scientifico e della Ca’ Foscari di dare un segnale nuovo con questa ‘prima’ italiana a riguardo dell’Etiopia.
Che cosa rimane della tradizione cristiana etiope, soprattutto in riferimento al circostante mondo islamico? Non colpisce il divario tra il livello di civiltà raggiunto nei secoli scorsi e l’attuale povertà di questo Paese?
SMT
Il cristianesimo è in espansione in Africa. L’Etiopia e l’Egitto rappresentano la continuità dai tempi apostolici. Le seguenti ondate di evangelizzazione, specialmente nel secolo XIX, hanno dato un impulso in varie altre regioni africane dove ora la fede cristiana è maggioritaria. La Chiesa etiope, che ha un suo rito particolare molto suggestivo, una sua musica liturgica originale, dei legami che persistono con le tradizioni bibliche precristiane, in un certo modo ricorda la legittimità della presenza cristiana che ha preceduto di secoli l’arrivo dell’Islam nel continente. Il monastero di Debre Damos ha una presenza ininterrotta di monaci dal quinto secolo. Furono innumerevoli i tentativi di conquista dell’altopiano etiopico da parte dei musulmani che lo circondano. La fede cristiana e l’identità politica si sono unite per resistere. Oggi la convivenza tra cristiani maggioritari e la forte minoranza islamica sono normalmente molto buoni. Nella stessa famiglia si possono incontrare persone delle due fedi senza forzature che una accetti le convinzioni dell’altra, un esempio importantissimo di convivenza rispettosa. Certo, occorre anche dire che in passato la Chiesa Ortodossa Etiopica si era un po’ fossilizzata contribuendo cosi’ troppo poco al progresso economico del Paese, che ancora è marcato da una povertà molto evidente quando si percorrono le strade etiopiche e si visitano le migliaia di villaggi che campano di agricoltura di sopravvivenza. La mentalità tuttavia sta evolvendo e la Chiesa si sta impegnando di piu’ nell’educazione e nei servizi sociali.
Lei in qualità di nunzio ha potuto seguire da vicino la nascita dell’Unione Africana. Come sta procedendo questa realtà?
SMT
Bruxelles sta all’Unione Europea come Addis Abeba sta all’Unione Africana. I paesi africani hanno voluto scegliere la capitale etiopica come sede dell’Unione Africana perché hanno riconosciuto nell’Etiopia un paese che ha mantenuto la sua indipendenza e la sua identità contro ogni avversità, e con giusto orgoglio. L’Africa vuole coordinarsi per pesare di piu’ sullo scacchiere mondiale ed è interessante che l’Etiopia sia direttamente collegata alla sede dell’Unione Africana. Ho potuto firmare il primo accordo di cooperazione della Santa Sede con l’Unione Africana come gesto di amicizia e di appoggio ad un continente che spesso viene lasciato ai margini delle grandi decisioni internazionali. Il cammino dell’Unione è lento perche’ a mettere d’accordo 53 stati non è impresa facile e perché il peso del passato, della mancanza di infrastrutture, di ritardi nelle tecnologie delle comunicazioni, della mancanza di educazione, dello sfruttamento disordinato delle grandi risorse naturali del continente, e soprattutto di ancora troppi conflitti etnici, rallenta anche gli sforzi piu’ generosi. Nonostante le grandi difficoltà, l’Africa vuole risolvere i suoi problemi e l’Unione Africana ne è una via essenziale.
Nei prossimi giorni il Papa si recherà in Camerun e in Angola. Ad ottobre si terrà il Sinodo dei Vescovi sull’Africa. Quali sono gli elementi che emergeranno da questi due eventi?
SMT
Il messaggio di Papa Benedetto XVI e del Sinodo dei Vescovi, due eventi importanti che focalizzeranno l’attenzione del mondo sull’Africa, convergono nel loro obiettivo di ridare speranza al continente e di indicare vie di uscita dalle molte crisi e dai conflitti che mortificano una popolazione piena di vitalità. In Cameroon e in Angola il Papa, penso, metterà in luce i problemi che bloccano lo sviluppo come la corruzione, il tribalismo, le malattie come l’AIDS, ma soprattutto darà il suo sostegno alla missione della Chiesa chiamata a costruire pace e rapporti umani basati sulla fiducia e la collaborazione fraterna. Consegnerà ai Presidenti delle Conferenze Episcopali il documento di lavoro del Sinodo speciale per l’Africa in modo da sottolineare la connessione molto stretta tra le varie iniziative che di fatto si muovono sulla stessa traiettoria. Non mancherà certo un richiamo al ruolo chiave della donna e al dialogo inter-religioso, specialmente con l’Islam e le religioni animistiche. Si tratta di aprire un nuovo capitolo per il futuro dell’Africa, e la Chiesa vuole dare una mano con umiltà, ma anche con efficacia.
Da osservatore della Santa Sede all’Onu quale potrà essere il ruolo dell’Africa nel futuro panorama politico internazionale? Qualcuno ha visto nell’elezione a presidente Usa di Barack Obama, un “afro-americano” nel vero senso della parola viste le sue origini da parte di padre, una opportunità per questo grande continente.
SMT
E’ caduto il muro di Berlino, che ha cambiato la storia dell’Europa e non solo, e cadrà anche la barriera del razzismo. Il colore della pelle non determinerà il ruolo e il valore di una persona, ma la sua dignità inalienabile verrà riconosciuta senza ambiguità. Nel contesto internazionale delle Nazioni Unite , su questo campo certamente, c’è una convergenza di visione e di lavoro con la missione della Chiesa. Il continente ‘nero’ deve sedersi alla tavola della famiglia umana come gli altri continenti. Nei dibattiti a cui assisto all’ONU e negli Organismi Internazionali mi sembra che stia emergendo chiaramente l’esigenza che nelle istituzioni internazionali e nei meccanismi dove si prendono le grandi decisioni debbano partecipare anche i paesi poveri e in via di sviluppo. L’Africa dovrà essere aiutata a poter correre con le sue gambe, ad avere le risorse umane adeguate che la rappresentino, ne parlino il suo linguaggio, mettano in evidenza le sue vere esigenze. La nuova Presidenza americana, indipendentemente da posizioni politiche, è diventata un simbolo importante che ogni razza puo’ giustamente partecipare nella gestione della cosa pubblica. In questo senso, è promettente per il futuro dell’Africa, per un rinnovamento nel continente e per un ruolo sempre piu’ dinamico dell’Africa nel contesto internazionale.
lunedì 6 aprile 2009
I diritti dei rifugiati nei Paesi Europei
Intervento del rappresentante della Santa Sede a Ginevra
GINEVRA (Migranti-press 14) - Dei diritti dei rifugiati nei Paesi europei, spesso disattesi, ha parlato Mons. Silvano Tomasi, Osservatore permanente della Santa Sede presso l’ONU a Ginevra, nel suo intervento alla 44esima riunione, nella città elvetica, del Comitato permanente dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite.
Nell’intervento, diffuso dalla Radio Vaticana, Mons. Tomasi ha messo in luce le difficoltà incontrate dai rifugiati per ottenere protezione e presentare domanda di asilo ed ottenere considerazione equa delle richieste inoltrate secondo standard e procedure internazionali. Quindi l’Osservatore permanente presso la Santa Sede ha puntato i riflettori sulle differenze nei vari Paesi europei nei procedimenti di asilo, differenze che preoccupano la Santa Sede, che fa sue le stesse preoccupazioni dell’Alto Commissario dell’ONU, Antonio Guterres, nel sottolineare che “ogni Paese, naturalmente, ha diritto di definire la sua politica migratoria, ma le norme internazionali di protezione dei rifugiati devono essere rispettate”. Un appello, ha detto Mons. Tomasi, che merita particolare attenzione data la tragica situazione che ha visto, durante il 2008, 1502 persone, tra le quali presumibilmente un numero significativo in fuga da persecuzione, che hanno incontrato la morte mentre tentavano di entrare in Europa. Da qui la richiesta del rappresentante della Santa Sede che le politiche nazionali e internazionali e i provvedimenti legali abbiano anzitutto un solido fondamento nei diritti umani, il diritto alla vita in primo luogo. Questo grave problema non interessa solo l’Europa, ha aggiunto il rappresentante del Vaticano, notando che simili tendenze ad opporre barriere fisiche così come burocratiche, legislative e politiche ai richiedenti asilo si registrano in diverse regioni del mondo, sviluppate e in via di sviluppo. Attenzione particolare merita inoltre il fenomeno crescente di minori soli che richiedendo asilo, perché rivela la disperata situazione in cui versano alcune famiglie e perché troppo spesso è risolto con un ambiguo sistema di detenzione. Non è la prima volta che Mons. Tomasi alza la voce per richiamare i governi al rispetto dei diritti umani, già nel febbraio aveva avuto modo di denunciare che la crisi economica rischia di vedere l’aumento di potere di governi caratterizzati da una dubbia propensione alla democrazia. Tuttavia - ha detto ancora - si ripeteranno errori vecchi e più recenti, se non si intraprenderà un’azione internazionale concertata, volta a promuovere e tutelare tutti i diritti umani e se le dirette attività finanziarie ed economiche non verranno poste su una strada etica che possa anteporre le persone la loro produttività e i loro diritti all’avidità che può scaturire dall’attenzione al solo profitto.
03/04/2009
GINEVRA (Migranti-press 14) - Dei diritti dei rifugiati nei Paesi europei, spesso disattesi, ha parlato Mons. Silvano Tomasi, Osservatore permanente della Santa Sede presso l’ONU a Ginevra, nel suo intervento alla 44esima riunione, nella città elvetica, del Comitato permanente dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite.
Nell’intervento, diffuso dalla Radio Vaticana, Mons. Tomasi ha messo in luce le difficoltà incontrate dai rifugiati per ottenere protezione e presentare domanda di asilo ed ottenere considerazione equa delle richieste inoltrate secondo standard e procedure internazionali. Quindi l’Osservatore permanente presso la Santa Sede ha puntato i riflettori sulle differenze nei vari Paesi europei nei procedimenti di asilo, differenze che preoccupano la Santa Sede, che fa sue le stesse preoccupazioni dell’Alto Commissario dell’ONU, Antonio Guterres, nel sottolineare che “ogni Paese, naturalmente, ha diritto di definire la sua politica migratoria, ma le norme internazionali di protezione dei rifugiati devono essere rispettate”. Un appello, ha detto Mons. Tomasi, che merita particolare attenzione data la tragica situazione che ha visto, durante il 2008, 1502 persone, tra le quali presumibilmente un numero significativo in fuga da persecuzione, che hanno incontrato la morte mentre tentavano di entrare in Europa. Da qui la richiesta del rappresentante della Santa Sede che le politiche nazionali e internazionali e i provvedimenti legali abbiano anzitutto un solido fondamento nei diritti umani, il diritto alla vita in primo luogo. Questo grave problema non interessa solo l’Europa, ha aggiunto il rappresentante del Vaticano, notando che simili tendenze ad opporre barriere fisiche così come burocratiche, legislative e politiche ai richiedenti asilo si registrano in diverse regioni del mondo, sviluppate e in via di sviluppo. Attenzione particolare merita inoltre il fenomeno crescente di minori soli che richiedendo asilo, perché rivela la disperata situazione in cui versano alcune famiglie e perché troppo spesso è risolto con un ambiguo sistema di detenzione. Non è la prima volta che Mons. Tomasi alza la voce per richiamare i governi al rispetto dei diritti umani, già nel febbraio aveva avuto modo di denunciare che la crisi economica rischia di vedere l’aumento di potere di governi caratterizzati da una dubbia propensione alla democrazia. Tuttavia - ha detto ancora - si ripeteranno errori vecchi e più recenti, se non si intraprenderà un’azione internazionale concertata, volta a promuovere e tutelare tutti i diritti umani e se le dirette attività finanziarie ed economiche non verranno poste su una strada etica che possa anteporre le persone la loro produttività e i loro diritti all’avidità che può scaturire dall’attenzione al solo profitto.
03/04/2009
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